lunedì 26 maggio 2014

LA BATTUTA DA OSCAR!


Scena: uno sbarbatello, mentre piscia fuori dal finestrino di un pulmino in corsa, ha il "pipino" tranciato di netto a causa di un incidente. Un suo amico va a cercare la "preziosa reliquia" e, trovatola, la getta in grembo al malcapitato dicendogli: "E poi non dire che non ho mai fatto un cazzo per te!" Cinema d'autore.

martedì 20 maggio 2014

UN DUCA (BIANCO) IN SCARPE DA TENNIS: DAVID BOWIE 1983-1987


Quando David Bowie ritorna sulle scene nel 1983, a tre anni di distanza dalla rinascita commerciale di "Scary Monsters (And Super Creeps)" molte cose sono cambiate ma sono tre quelle su cui è bene soffermarsi. Prima: la casa discografica, che non è più la RCA bensì la EMI. Seconda: scade proprio in questo periodo il contratto che prevede ampissimi margini di guadagno su ogni prodotto targato Bowie a favore dell'ex manager del cantante. Terza, ma non ultima: un nuovo canale televisivo, di nome MTV, ha fatto da poco la sua comparsa portando i neonati videoclip nelle case di un pubblico di fruitori di musica infinitamente più grande rispetto a quello di pochi anni prima. Bowie sa di (o, quantomeno, crede di) doversi adeguare allo stile, tanto musicale che estetico, dei colleghi / rivali per rimanere sulla cresta dell'onda ed avvalendosi del produttore Nile Rodgers dà alle stampe "Let's Dance" primo album di una trilogia discografica maggiormente pop rispetto alla passata produzione. La mossa dà i suoi frutti e la title track dell'album diviene il singolo di maggior successo della carriera del cantante, reinventandolo come superstar e tracciando un profondissimo solco tra ciò che è stato e quello che è di lì a venire. Assaporato il successo e gli incredibili bagni di folla nel corso del successivo Serious Moonlight Tour, Bowie prosegue sulla stessa strada col successivo "Tonight" ma a questo punto è chiaro come l'ex Duca Bianco si trovi del tutto spaesato nelle sue nuove vesti. Il disco, pur generando una serie di singoli di discreto successo, non vende come il predecessore e sconta già in partenza una sorta di aridità creativa, risultando composto per la maggior parte di cover o rielaborazioni di brani già editi in precedenza. Nel tentativo di recuperare le posizioni perdute, "Never Let Me Down" del 1987 contiene solo di brani "nuovi" ma ciononostante fatica a decollare, sebbene abbia al suo interno quello che è probabilmente il miglior pezzo realizzato da Bowie nel decennio, ossia "Time Will Crawl". Accortosi del passo falso, sommerso da critiche e sfottò da parte della carta stampata e deciso a non tramutarsi nell'ennesima rock star sul viale del tramonto, David non esita a rinnegare questi ultimi due dischi già poco dopo la loro pubblicazione, bollandoli come il suo "Periodo Phil Collins" e si reinventa non come solista, bensì come membro di una band, i Tin Machine, autori di due lavori poco apprezzati sia dalla critica che dal pubblico. La vera rinascita artistica di Bowie si avrà solo nel '93 con "Black Tie White Noise", primo di una serie di lavori curiosamente tanto anti-commerciali quanto i predecessori erano stati radio-friendly. Ne riparleremo.

venerdì 16 maggio 2014

FrankenSTEINMAN Jr.


Jim Steinman è uno che ha fatto del detto "poche idee, ma buone" un pò uno stile di vita, giacché non è mai stato un autore straordinariamente prolifico ma ha sempre lasciato il segno. Dopo aver scritto per intero il colossale "Bat Out Of Hell" di Meat Loaf ed aver accettato che il suo nome apparisse solo in piccolo in copertina, il songwriter si mette al lavoro per dare un seguito a quel "mostro" di album. Tuttavia, fin da subito, è chiaro come le cose non girino per il verso giusto: tra Steinman e Meat Loaf i rapporti si sono fatti piuttosto freddi e quando il cantante perde (letteralmente!) la voce ed abbandona le sedute di registrazione del disco che avrebbe dovuto chiamarsi "Renegade Angel", Jim decide che può farcela benissimo da solo: se i pezzi li ha scritti sarà anche in grado di cantarli, giusto? Ecco, non proprio. Sebbene Steinman sia aiutato in studio da Rory Dodd (di fatto esecutore "in toto" di almeno tre pezzi del disco), il suo cantato sull'album (che viene reintitolato "Bad For Good") impallidisce in confronto a quello di Meat Loaf e rende fiacchi, se non addirittura "fuori tono", brani che se interpretati dall'ex compagno avrebbero avuto ben altro spessore. Pochi mesi dopo l'uscita del disco, un ritrovato Meat Loaf pubblica infine "Dead Ringer", il tanto atteso sequel di "Bat Out Of Hell", che però fa una ben magra figura rispetto al suo predecessore, in gran parte perché Jim ha tenuto per il "suo" disco i brani migliori. Steinman lavorerà ancora come solista, prima con i Fire. Inc. e poi con le Pandora's Box, ma tendendosi d'ora in poi lontano dai microfoni, se non per sporadici interventi "recitati". Non è tuttavia il caso di prendersela a male: non si può eccellere in tutto, giusto?

martedì 13 maggio 2014

SAPER VEDERE LA MUSICA, PARTE IV


Le copertine dei dischi "classici" degli Iron Maiden sono tra le più belle di tutto il panorama metal del periodo e vedono come protagonista Eddie, da sempre mascotte della band e divenuto talmente iconico da essere persino più riconoscibile dei membri stessi del gruppo. La cover del bellissimo "Somewhere In Time", pubblicato nel 1986, vede un Eddie-cyborg spostarsi in un ipotetico futuro che deve molto alle atmosfere del film "Blade Runner", ma è interessante più che altro per la miriade di messaggi (più o meno) nascosti che cela al suo interno. Eccone giusto alcuni che potrebbero esservi sfuggiti:
Sul fronte:
-Il nome della strada in cui si trova Eddie è Acacia, in riferimento al brano "22 Acacia Avenue" presente su "The Number Of The Beast".
-A destra, sopra la mano che spunta dal basso, c'è un poster che riproduce il "vecchio" Eddie.
Sul retro:
-L'orologio segna le 23:58 in riferimento alla canzone "2 Minutes To Midnight".
-Un'insegna pubblicizza il Bar Aces High come l'omonima canzone tratta da "Powerslave".
-Le piramidi sono un altro riferimento all'album "Powerslave", la cui copertina si ispirava all'antico Egitto.
-Bruce Dickinson tiene in mano un cervello, come citazione della cover del disco "Piece Of Mind". 
-Un'altra insegna riporta "Long Beach arena", nome della location dove venne registrato il doppio "Live After Death".
-Nell'angolo in alto a destra (purtroppo coperto dal codice a barre in alcune versioni del disco) appare la figura di Icaro che precipita. E' un ovvio rimando alla canzone "Flight of Icarus", presente su "Piece of mind".
-La scritta "Herbert ails" (traducibile come "Herbert indispone") è un riferimento al fatto che lo scrittore Frank Herbert, autore di "Dune", impedì al gruppo di intitolare come la sua opera un proprio brano (nello specifico "To Tame A Land", da "Piece Of Mind")
Bene, ora prendete la vostra copia del disco (meglio se su LP), una lente d'ingrandimento e trovate tutti i restanti messaggi. Buona ricerca!

sabato 10 maggio 2014

SVEZIA, MON AMOUR


Joe Lynn Turner evidentemente deve avere una passione per i chitarristi incazzosi ed egocentrici! Solo così possiamo spiegare come mai, messi sotto ghiaccio i Rainbow di Sua maestà Ritchie Blackmore a causa della reunion della mark II dei Deep Purple, il cantante decida di passare alla corte di Yngwie J. Malmsteen, uomo tanto dalla tecnica infallibile quanto dal carattere bizzoso ed incostante. Il sodalizio tra i due ha breve durata, ma consegna ai posteri "Odyssey", probabilmente è il miglior disco partorito dal musicista svedese . Basta l'iniziale "Rising Force", dotata di uno dei dieci più bei solo di chitarra su cui si siano mai posate le orecchie di chi scrive, a far capire come Yngwie sia qui riuscito a raggiungere la sintesi ideale di brani ad alto tasso di melodia e fughe chitarristiche "neoclassiche". Non mancano altre perle come il singolo "Heaven Tonight", la delicata ballad "Dreaming" o l'ammaliante "Now Is The Time", pezzi deliziosamente "catchy" ma che sfuggono ad ogni accusa di banalità o piattezza grazie ad un lavoro alle sei corde che ha talvolta del miracoloso. Qualsiasi piano di un seguito viene messo da parte quando Blackmore caccia (di nuovo!) Ian Gillan dai Deep Purple e, alla ricerca di un sostituto che sia – per usare un gioco di parole- "nelle sue corde", decide di andare sul sicuro e chiama il fedelissimo Turner, con il quale registra l'atipico AOR oriented "Slaves And Masters". Malmsteen da parte sua non si fa alcun problema: già che c'è fa fuori il resto del suo gruppo (giusto per far capire bene chi comanda...) e, riassemblata una nuova line up, prosegue sulla sua strada con l'ottimo – ma semi-ignorato- "Eclipse". Una "liaison" durata pochissimo, dunque, ma che ci ha lasciato un Signor disco, sconsigliato solo a chi si sia da poco avvicinato alla chitarra e non voglia, dopo l'ascolto, appendere (capo chino ed aria mesta...) lo strumento al chiodo.

martedì 6 maggio 2014

Frontiers Rock Festival - Il report, parte III


Introduzione a cura di Jen. 

Questa foto riassume l'atmosfera vissuta in questa maratona di 3 giorni, impensabile sino a qualche tempo fa. Al nostro stand abbiamo conosciuto un sacco di persone (connazionali e stranieri) entusiaste per il nostro libro e l'evento stesso. Organizzazione a dir poco perfetta e il Live Club si è rivelato all'altezza delle sue note aspettative. Tutto ciò ha dimostrato che non abbiamo nulla da invidiare alle altre realtà europee, spetta a noi supportare eventi di questa portata.

Report a cura di Diego "Dr.Zed" Zorloni e Stefano Gottardi.

Prima nota positiva della giornata: non c'erano più i Dalton a sbronzarsi al bancone!

Crazy Lixx: i giovincelli ci danno dentro di brutto e fanno una figura ottima, non fosse che, visto il genere che suonano, come per un sessantenne che si mette con una ventenne, sono in ritardo di almeno venticinque anni perchè la cosa "tiri" seriamente. Quantomeno si porteranno a casa un bel ricordo dell'Italia...in particolare il chitarrista che "offstage" si diletta in un simpatico siparietto (ma siccome sono persona riservata non vi dirò che è stato beccato nel bagno dei disabili a mostrare le qualità del suo "manico" ad una bella fanciulla...)
Issa (Oooo issa! Oooo issa! Ooo...): con il suo hard rock melodico stile Victoria's Secret non convince nessuno e sul palco se la inculano davvero in pochi...quanto accada invece nel backstage non è dato saperlo (nel caso: beati loro!).
Jeff Scott Soto: look e attitudine da ventenne nonostante oramai le primavere sulle spalle siano quasi cinquanta, arriva come un uragano e devasta tutto capitalizzando l'attenzione della totalità dei presenti. Quando il tempo a sua disposizione termina, non si scompone e con un pacato "vaffanculo!" (in italiano) prosegue lo stesso per un altro pezzo. 
John Waite: Classe. Forse non la voce più bella, tecnica o con la maggior estensione del festival, però... che signore. Non conoscevo granchè la scaletta, comunque un bel concerto. Pare ci fosse Alda D'Eusanio pronta a lanciarsi dalla balconata in preda a una crisi da fan 15enne... 
Danger Danger: esibizione pazzesca, cazzo duro e braccia alzate! Rob Marcello è un mostro (non di bruttezza), la band suona bene e Ted Poley IL frontman. Simpatico, canta bene, e scende fra la folla a cantare scatenando un putiferio. Tutti volevano toccarlo, manco fosse Belen in bikini. Mi sono divertito come un coglione lasciato fuori dalle mutande, per me davvero uno dei momenti più alti del festival. 
Piccolo siparietto: Bruno Ravel (bassista dei Danger Danger): 

What song is it you wanna hear?

PUBBLICO: .........................................................................................................

BRUNO RAVEL: What song is it you wanna hear?

PUBBLICO: WOUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUAHOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOARGHHHHHHHHHHHHHHHHHHHSSSSSSSZZZZZXYZ.

BRUNO RAVEL: It's exactly what we wanted to play!

John Peter Sloan, salvaci tu...

Winger: be', bravi. Scaletta che abbraccia un po' tutto il repertorio, anche se il nuovo corso non l'ho mai seguito, ma hanno suonato molti classici. Il batterista è da portare fuori sulle spalle tanto che è bravo, Reb Beach sempre figo. Kip Winger ha l'aria di uno che non vede l'ora di finire il concerto per andare a puttane, se mi dicessero che passa le sue serate al Night Club a infilare soldi nelle mutande delle spogliarelliste ci crederei senza problemi. Ma a parte quest'aria da playboy in pensione (sarà il ciuffo bianco, boh), niente da dire.
Night Ranger: Fra Mar-Ti-No Cam-Pa-Na-Ro...parte "Touch Of Madness" e non ce n'è per nessuno! Tra classici, brani nuovi e qualche sorpresa come "The Secret Of My Success" (co-co-co-cosaaaaaa?) ed "High Enough" equivalgono ad un orgasmo di 80 minuti, facendo "godere" sia gente che potrebbe essere mio padre che altri che potrebbero essere miei figli. Qualità eccelsa intergenerazionale.


lunedì 5 maggio 2014

Frontiers Rock Festival - Il report, parte II


Secondo giorno: parole incontestabili a cura di Stefano Gottardi e Jen.

Adrenaline Rush: l'hard rock tendente allo sleaze scandinavo in un festival come questo serviva quanto lo shampoo a Claudio Bisio, ma la cantante ha rubato la scena a tutti. Inascoltabile e con una voce da gallina, la mandrappona svedese aveva quella quintalata di "puttanismo" da palcoscenico che ti aspetti di vedere da una frontwoman del genere. A fine concerto si è concessa ai suoi nuovi fan per mille foto, sfoggiando le pose più finte della storia e senza sboccare in faccia nemmeno al centocinquantesimo orrendo e sfigato fan che le si è presentato dinnanzi. Come mi faceva giustamente notare Mirco Nanetti (che non riesco a taggare porcoilmondochechossottoaipiedi!), avrà pensato: “ma quanto cazzo sono brutti questi italiani?”.
Moonland: tutti si aspettavano un'altra sgnoccona imputtanita, e invece no, la fanciulla era castamente abbigliata, che manco la supplente alle scuole elementari poteva battere. M'è parsa un pelo impacciata sul palco per essere una pop star con milioni di dischi alle spalle, ma forse è abituata a un pubblico più kitsch e ben vestito. Comunque bravi, hanno suonato in maniera onesta. 
L.R.S. una gran bella sorpresa... a cavallo tra Journey e Bad English forieri di brani di gran classe. Spunta lo zampino del bravo Alessandro Del Vecchio, ma rivedere Ramos all'opera dopo l'esibizione con gli Hardline non mi è dispiaciuto affatto, anzi! Hanno suonato pezzi dal cd e un brano a testa delle rispettive band dei tre personaggi che danno il nome al progetto. LaVerdi è una macchina, anche molto bravo a tenere il palco, Shotton un grande dietro le pelli e alla voce. Un'esibizione impeccabile, una delle poche band che non conoscevo che mi ha fatto venire voglia di prendere il cd.  
Eclipse: Erik Martennson è l'idolo delle folle, c'è poco da fare: il musicista svedese che tutte le mamme vorrebbero che la loro figlia sposasse. Esce ed è un tripudio, la band piace, la gente sa i pezzi e canta. Loro suonano bene e il secondo gettone di presenza lo firmano alla grande. 
Red Dragon Cartel: porcaccia la vaccaccia! Ho visto da pochi passi il mio idolo, Jake E. Lee, devo aggiungere altro? Sì. Scaletta incentrata su brani dei Badlands, un paio di Ozzy e qualcosa dal nuovo cd, che personalmente ho apprezzato molto. Il cantante, che credevo preso a botte dalla folla al Whisky a Go-Go e ancora in convalescenza, era invece in splendida forma. Non il migliore del Festival, ma la sua prestazione è stata dignitosa. Jake piacevolmente sorpreso dall'affetto della folla, e anche se non capisco una mazza di chitarra per me numero uno! Per me a dire il vero poteva anche mettersi nudo a fare il “grillone musicale” con il pisello, che sarebbe stato fico lo stesso!
Pretty Maids: scaletta non male, ma Ronnie Atkins è venuto in Italia dimenticandosi di portarsi dietro la voce. Meglio riascoltarsi "Screamin' Live". Ken Hammer s'è mangiato un cinghiale intero prima del concerto! (ma sticazzi, hanno fatto "Future World" e "Yellow Rain", io ero letteralmente in lacrime ndR).
Stryper: devastanti oltre ogni limite umano consentito, hanno dimostrato di essere delle implacabili macchine da guerra, in grado di impaurire il temibile Lucifero. Il chitarrista Oz Fox è un dio (che il Signore non si inalberi, abbiamo messo la d minuscola, ndR). La gente era in visibilio, tutto il locale era lì per loro, anche se non hanno lanciato le bibbie come ci si aspettava. Divini, a dir poco.

domenica 4 maggio 2014

Frontiers Rock Festival - Il report, parte I


Introduzione a cura di Jen.

"Oh mio Dio, ma mi state dicendo che mi sono persa i Danger Danger"? Questo è un post preso a caso scovato nella giungla digitale denominata Facebook. Chiunque ami l'hard rock melodico e non viva sulla luna, doveva essere a conoscenza del Frontiers Rock Festival, il primo festival italiano incentrato sul genere, patrocinato dalla nota label Frontiers Records. E Raised On Melodies poteva mancare? Certo-che-no. Il qui presente Jen, coadiuvato da Stefano Gottardi della Street Symphonies Records, il mio socio e mentore di questo blog Diego "Dr. Zed" Zorloni, con un piccolo e divertente contributo di Alessandro Corno capo redattore del portale Metalitalia.com hanno raccolto con estrema ironia e genuina spontaneità le emozioni vissute in questo mega evento.

Primo Giorno: parole a cura di Stefano Gottardi, e di Jen.

State Of Salazar: bravi, ma inguardabili. Al cantante mancava solo il cappello e poi poteva guidare il pullman.

Dalton: partenza incerta, si sono poi ripigliati nel corso del concerto. Bei pezzi, ma nel complesso la performance non ha convinto del tutto. Si rifaranno a fine serata, da ubriachi.

Three Lions: c'era qualcosa che non andava nella chitarra di Vinny Burns. Cmq bravi, ma penso che un loro cd mi annoierebbe a morte.

Snakecharmer: molto Whitesnake, com'era prevedibile vista la presenza di Micky Moody e Neil Murray. Voce fantastica (parliamo di Chris Ousey degli Heartland, mica cazzi ndR), ma tutto sommato anche un buon momento per andare a rifocillarsi. 

W.E.T.: Non un pezzo brutto, potentissimi. C'era qualcosa di strano nella voce di Soto, non si sentiva, era indietro rispetto agli altri strumenti, se per scelta o per problemi lo scopriremo sabato.

Hardline: Fighissimi, da mozzare il fiato. Gioeli con la voce uguale ai dischi, ricordo pochi mostri del genere live, praticamente perfetto. Josh Ramos: l' eroe delle sei corde; il tastierista Alessandro DelVecchio e gli altri italiani super! Minchia minchia e... minchia!!!

Tesla: SUPERBI (ma cosa ti sei fumato Stefano? ndR Jen)! Il prossimo che mi dice che Faster Pussycat o Pretty Boy Floyd sono fighi gli sputo. Mi fa tristezza pensare che qualcuno infili nello stesso calderone queste band. Mancava solo Tommy Skeoch, probabilmente se l'è mangiato Brian Wheat.


PS: i Dalton hanno dimostrato di essere dei veri "party animals". Questo video li ritrae al ritorno in hotel.