martedì 24 gennaio 2012

PARLANDO DI GRANDI BAND E VIDEOCLIP ORRENDI...

Gli Honeymoon Suite sono una band canadese di AOR deluxe, che in circa trent'anni di carriera ha inciso sette studio album. Raised On Melodies vi invita caldamente a scoprire i primi tre lavori: "Honeymoon Suite" (1984), "The Big Prize (1986)" e "Racing After Midnight" (1988). Tutta la classe presente in questi lavori è stata offuscata dalla miopia del pubblico mainstream, troppo impegnato a seguire esclusivamente gruppi comunque validi come The Smiths e R.E.M., ma soprattutto dalla triste mania di girare video promozionali orribili. Vi presentiamo "Feel It Again", singolo tratto dal secondo album "The Big Prize".


lunedì 9 gennaio 2012

BON JOVI - New Jersey (1988)


Una medicina non così cattiva

I Bon Jovi con "New Jersey" sono riusciti nell'ardua impresa di far seguire ad un disco quasi perfetto, come il multimilionario  “Slippery When Wet”, un capolavoro altrettanto venduto. Perchè di capolavoro si tratta, senza ombra di dubbio, giacchè pochissime volte è capitato di ascoltare un album che scorra privo di intoppi dall'inizio alla fine, senza filler o brani deboli. Progettato per essere un doppio album (titolo previsto: l'ambiguo “Sons of Beaches”) ma ridotto a singolo lp per volere della casa discografica, timorosa che il costo elevato influisse sulle vendite, “New Jersey” vede il gruppo staccarsi da certe ingenuità pop rock ancora presenti nel precedente lavoro, in favore di un hard cromato e viscerale, influenzato non poco da Springsteen. Sono presenti anche numerosi accenni blues, sicuramente provenienti dalla penna di Sambora, che avrà poi modo di esprimersi pienamente in tal direzione nel suo (straordinario, neanche a dirlo) album solista del '91. Una lunga intro strumentale, sicuramente studiata per fare un grande effetto dal vivo, fa da apertura a “Lay Your Hands On Me” e ci troviamo subito di fronte ad un pezzo da novanta, dove a farla da padrone sono le tastiere dal retrogusto seventies, intrecciate a saltuari interventi vocali in chiave soul ed un hook straordinario. Lo zampino del song doctor Desmond Child graffia prepotentemente nella successiva “Bad Medicine”.  Scelto come singolo trainante, il pezzo rasenta la perfezione formale, grazie ad una base ritmica quadrata e possente amalgamata ad una componente melodica di stupefacente presa e a linee vocali squisitamente catchy. “Born To Be My Baby” si snoda su un andamento scanzonato e divertente, ma al tempo stesso ci regala una delle migliori performance vocali di Jon, coronata da un assolo intenso ed espressivo di Sambora. La tensione si stempera con “Living in Sin”, semi ballad introspettiva e notturna finita sul banco degli imputati per il suo video giudicato fin troppo osè e quindi censurato, in modo da non offendere i più pudici tra gli spettatori di MTV. Molte band del genere avrebbero potuto costruire la propria carriera su un brano come “Blood On Blood”, che evidenzia le doti tecnico compositive di un gruppo troppo spesso accusato a sproposito di scrivere soltanto hit destinate alla massa. Innegabilmente influenzato da Springsteen, il trio Jovi/Sambora/Child in questa occasione riesce a comporre un andamento ritmato, ma scevro da melodie troppo costruite e 'facili', per immergersi nell'anima dell'America più sincera e viscerale. Un intro blueseggiante fa da preludio a “Homebound Train”, pezzo tirato, asciutto e ruvido (che deve molto agli Aerosmith del periodo d'oro), graziato da un bel solo di armonica e da una fuga di hammond. Da rimarcare come in questo caso, Jon esplori spettri vocali sino ad ora inediti, adoperando timbriche ben più aggressive rispetto ai suoi soliti standard. La splendida “Wild Is The Wind” è la tipica gemma nascosta del disco: un brano dotato di un certo vigore, ma immerso in un mood notturno, accompagnato da una melodia trascinante e mai banale. Il tipico scricchiolio di un disco in vinile ci presenta “Ride Cowboy Ride”, breve affresco in lo-fi che sa di torridi pomeriggi passati  a bere whiskey sotto un assolato portico di una provincia nel sud degli States. “Stick To Your Guns” è una malinconica semi ballad impreziosita da un ispirato lavoro alla chitarra acustica e da un soffuso tappeto di tastiere, perfettamente in linea con le produzioni cromate dell'epoca. “I'll Be There For You” rappresenta l'ulteriore prova di come i Nostri siano in grado di scrivere una ballata toccante, dotata di un impressionante gusto nelle melodie ed ulteriormente impreziosita da ispirate backing vocals a cura di Richie Sambora. Torniamo a percorrere sentieri decisamente più rock con “99 In The Shade”, galvanizzante piece di hard cromato, che strizza l'occhio ad un certo party rock tanto in voga negli anni'80. Curiosa la chiusura affidata “Love For Sale”, sorta di divertissment contry blues in chiave acustica. Seguirà il mastodontico e trionfale "New Jersey Syndicate Tour" che consegnerà indenne la band al decennio successivo, nonostante un certo ammorbidimento del sound. Questa svolta – criticata dalla frangia più estremista di critici e fans della prima ora - ha sicuramente tolto un bel pò di mordente alle composizioni, ma d'altro canto ha permesso al gruppo di rimanere a galla, schivando l'iceberg chiamato grunge.

Tracklist:

Lay Your Hands On Me
Bad Medicine
Born To Be My Baby
Living In Sin
Blood On Blood
Homebound Train
Wild Is The Wind
Ride Cowboy Ride
Stick To Your Guns
I'll Be There For You
99 In The Shade
Love For Sale

lunedì 2 gennaio 2012

JETHRO TULL - Under Wraps (1984)


Sotto la plastica, niente.

Gli anni '80 hanno segnato per I Tull una sorta di nuovo inizio sotto molti punti di vista e anche il fatto che il primo album della decade si sia intitolato proprio “A”, pare, a posteriori voler comprovare ciò. Le sonorità bucoliche e folkloristiche plasmate dalla mente di Anderson, sono state progressivamente sostituite da ritmi elettronici moderni – per l'epoca – e da trame sonore che abbracciano il pop. Tutto ciò ha avuto questo duplice effetto: da un lato di generare orrore nei fans della prima ora, sbigottiti dalle nuove sonorità, dall'altro di lasciare del tutto indifferente il pubblico restante. E' infatti un dato acquisito, che la trilogia composta da “A”, “Broadsword And The Beast” e “Under Wraps”, costituisca dal punto di vista commerciale, il punto più basso toccato dalla band inglese. Sempre che di band si possa parlare, dato che I Tull oramai sono ridotti al leader Ian Anderson ed al fido chitarrista Martin Barre, accompagnati da una serie di turnisti ai loro servigi. E artisticamente parlando? Eh... qui la questione diviene decisamente più complessa, in quanto, è impossibile paragonare le vecchie composizioni a quelle attuali, troppo differenti sotto ogni punto di vista. La drum machine spadroneggia già dall'iniziale “Lap Of Luxury”, brano di facile presa, impostato su un groove lineare, baciato da un ritornello orecchiabile. La chitarra in quest'occasione è ridotta ai minimi termini, lasciando in evidenza le tastiere di Peter John Vettese. Scelto comprensibilmente come primo singolo e accompagnato da un discutibile videoclip, risulta ad oggi uno dei brani migliori del lotto. “Under Wraps #1” si snoda su ritmi ancora più incalzanti, purtroppo fiaccati da uno smodato uso dell'elettronica, che riesce ad affossare le pur buone potenzialità del pezzo. L'inizio sincopato di “European Legacy”, nella quale ritroviamo il flauto magico in primo piano, fa ben sperare, ma il brano scivola velocemente in un maldestro ed impacciato susseguirsi di linee vocali mediocri e dinamiche qualitativamente ben al di sotto della sufficienza. “Later That Same Evening” è introdotta da un imbarazzante tappeto di tastiere, volto a conferire un mood notturno, che per quanto ci riguarda, riesce solo a farci venire un gran sonno. Soffochiamo gli sbadigli e proseguiamo con “Saboteur”, dove finalmente risentiamo un riff di chitarra come si deve, che va di pari passo con un discreto fraseggio di flauto.  Anche in questa occasione, la confusione regna tuttavia sovrana, giacchè a questi elementi si accompagnano input sintetici, spezzati all'improvviso da un guitar solo che pare essere finito lì per caso,  a causa di un errato missaggio. Le speranze di un improvviso rinsavimento di Anderson, si scontrano con la successiva “Radio Free Moscow”, quattro minuti di scialbo pop rock che scivola nel nulla assoluto, nonostante le tematiche socio-politiche del pezzo. “Astronomy” inizia come un (brutto) pezzo dei Kraftwerk, e continua persino peggio, in quanto non ci risulta pervenuto alcuno sviluppo melodico che abbia un minimo di senso, sopratutto per quanto concerne gli irritanti impasti vocali. “Tundra”, glaciale sin dal titolo, progredisce in un monotono pattern, puntellato da inserti tastieristici tronfi e pacchiani. Superato a malapena l'istinto di estrarre brutalmente il cd dal lettore e utilizzarlo come frisbee per il cane (ma non è detto che prima o poi non accada!), ci imbattiamo nell' intro vagamente reggae (!) di “Nobody's Car”. Anche qui brancoliamo nel buio, faticando ad individuare una trama ispirata o quanto meno accattivante. Con “Heat” ritorniamo a respirare un'aria molto vagamente rock'n'roll, soprattutto per quanto riguarda le parti vocali di Anderson, mentre il tessuto sonoro e' l'ennesimo pastiche di elettronica e pop dozzinale, fatto di continui stop'n'go e break senza capo nè coda.  Da salvare unicamente l'intervento (purtroppo solo accennato) di Barre alle sei corde.  “Under Wraps #2” non è altro che una mesta 'reprise' del primo episodio, qui proposto in chiave acustica. Ovvero l'inutilità sommata all'inutilità.  Il famoso detto non c'è limite al peggio si addice bene a “Paparazzi”, sconfortante esempio di come non vada composto un brano pop o rock che sia. Giungiamo (alleluja!) alla fine di questa impresa con “Apogee”, malinconico episodio dalle vaghe tinte reggae, dove prosegue l'irritante percorso ad ostacoli, fatto di partenze ed improvvise interruzioni, che rendono l'ascolto molto simile ad una crociera in acque agitate. Dopo un sofferto tour di supporto all'album, ed uno stop forzato dovuto a problemi alle corde vocali di Anderson, bisognerà aspettare ben tre anni prima di vedere sugli scaffali dei negozi un nuovo lavoro della band, intitolato  “Crest Of A Knave”. Sebbene il disco veda un riavvicinamento di Anderson a sonorità più rock, i tempi d'oro oramai sono solo un tenue ricordo del passato.

Tracklist:

Lap Of Luxury
Under Wraps #1
European Legacy
Later, That Same Evening
Saboteur
Radio Free Moscow
Astronomy
Tundra
Nobody's Car
Heat
Under Wraps #2
Paparazzi
Apogee