mercoledì 31 dicembre 2014

EVOLUZIONE O INVOLUZIONE? IL CASO GENESIS, PARTE VIII


La band inglese raggiunge l'Olimpo commerciale con "Invisible Touch", opera pubblicata nell'anno di grazia 1986. Il disco in oggetto ottiene un riscontro commerciale planetario, proiettando il trio inglese ai vertici del music business mondiale. Avvolto dalla produzione sgargiante di Hugh Padgham, il lavoro si snoda attraverso otto brani multiformi e sfaccettati. La title track e "Land Of Confusion" sono create appositamente per far breccia nel cuore del grande pubblico, mentre "Tonight, Tonight, Tonight" e "Domino" (firmate rispettivamente da Phil Collins e Tony Banks) aggiornano e sintetizzando il verbo del progressive rock, causando attacchi di panico ai vecchi fans. Sei dischi di platino negli Stati Uniti, quattro nel Regno Unito ed una manciata di date trionfali a Wembley testimoniano l'apice di un'Era unica e dannatamente affascinante.

sabato 6 dicembre 2014

EVOLUZIONE O INVOLUZIONE? IL CASO GENESIS, PARTE VII


Archiviati i colori sgargianti di "Abacab", i Genesis si ripresentano nel 1983 con l'omonimo full length, complessivamente più 'maturo' e variopinto del celebre predecessore. Il fischiettante motivetto di "That's All" e la sbarazzina "Illegal Alien" vengono apprezzate dalla nuova generazione di rampanti "Yuppies", ma i Nostri danno il meglio di sé con la ballata notturna "Home By The Sea" e con l'oscura "Mama". Quest'ultimo può essere serenamente definito come l'episodio più inquietante mai inciso dalla band inglese, forte del suo groove ossessivo capace di risvegliare il lato oscuro di un qualsiasi American Psycho.

mercoledì 3 dicembre 2014

EVOLUZIONE O INVOLUZIONE? IL CASO GENESIS, PARTE VI



Il 1981 rappresenta il punto di svolta per i Genesis, i quali rilasciano un disco che rimarca definitivamente una rottura definitiva con quanto inciso in passato. "Abacab" rappresenta la cosiddetta pietra dello scandalo: tonnellate di synth pervadono la struttura 'semplificata' di gran parte degli episodi, mentre le martellanti e monolitiche drum machine 'flirtano' senza vergogna con la disco music. Aggiungiamo pure una sezione di fiati (!) giostrata dalla retroguardia degli Earth, Wind & Fire e i fans della prima ora voltano definitivamente le spalle ad una band tacciata di tradimento. Suvvia, ma di quale tradimento si va parlando? Dai, per favore, evitate di nominare per la milionesima volta Peter Gabriel (e che palle!), dato che quest'ultimo si occupava in prevalenza della stesura dei testi e di qualche arrangiamento sparso qua e là, mentre il resto del gruppo si occupava di tutto il resto. La title track, "No Reply At All" e "Dodo/Lurker" sono tre gemme fluorescenti che faranno la gioia di chiunque vada fuori di testa le sonorità sintetiche degli anni Ottanta. Ma il meglio deve ancora arrivare...

sabato 29 novembre 2014

EVOLUZIONE O INVOLUZIONE? IL CASO GENESIS, PARTE V


Agli occhi della storica 'fan base', i Genesis sono diventati una famelica 'money machine' gestita dallo scaltro Phil Collins (che nel frattempo ha intrapreso una parallela carriera solista di enorme successo), diventato poi un'istituzione nel mainstream degli anni Ottanta. Il capitolo successivo della band inglese viene intitolato "Duke", un lavoro intinto fino al midollo nell'eleganza del pop, dal quale emergono sottili echi di un passato sepolto da una nuova generazione di synth.

mercoledì 26 novembre 2014

EVOLUZIONE O INVOLUZIONE? IL CASO GENESIS, PARTE IV


... Anche il chitarrista Steve Hackett getta la spugna e come annunciato dal titolo del disco ("E poi rimasero in tre"), i Genesis centrano un grande successo commerciale con il singolo "Follow You, Follow Me", cambiando drasticamente la rotta stilistica, irretiti soprattutto dal profumo di soldi che giungono dal continente americano. Da qui in avanti sarà tutta un'altra band, meritevole comunque di regalarci alcune perle di inestimabile valore.

mercoledì 19 novembre 2014

IL FIUME SENZA FINE... DEI RICORDI (AUTOCITAZIONI INCLUSE)


Le premesse non erano certamente delle migliori: un lavoro nato dalla ripresa di brani abbozzati durante le sessions di "The Division Bell", vecchie oramai di vent'anni, non faceva ben sperare ed il timore che il disco si rivelasse un "pastiche" messo assieme alla bell' e meglio era tutt'altro che infondato. Ora che, finalmente, l'abbiamo nelle nostre mani possiamo toglierci ogni dubbio: "The Endless River" NON E' un brutto disco, ma ha il terribile handicap di essere esageratamente autoreferenziale e pieno di citazioni (consce o no) del passato più o meno lontano dei Pink Floyd. Chi scrive vi ha trovato tracce di "The Dark Side Of The Moon", "Wish You Were Here" e "The Wall", oltre ad ovvi rimandi al "fratello maggiore" "The Division Bell" (basti pensare alle parti vocali di Stephen Hawking). Qualcuno in sede di recensione l'ha anche giudicato un "disco noioso" e, mano sul cuore, non possiamo certamente dargli torto: la mancanza pressoché totale di parti cantate rende l'ascolto talvolta un vero "tour de force" e lascia l'amaro in bocca perché le idee non mancano e sono (talvolta) persino ottime, ma non vengono per nulla sviluppate. L'impressione generale è che se la band si fosse messa al lavoro sui pezzi subito dopo il tour del '94, il risultato sarebbe stato con buona probabilità il miglior disco del post-Waters. Un'occasione sprecata che, giocoforza, non potrà godere di una seconda possibilità.

domenica 16 novembre 2014

EVOLUZIONE O INVOLUZIONE? IL CASO GENESIS, PARTE III


...Infatti dopo il pomposo "The Lamb Lies Down On Broadway" (che sta a i Genesis come "Tales From Topographic Ocean" sta agli Yes: ovvero il troppo stroppia) Peter Gabriel molla il colpo. Secondo molti è la fine, invece, anzichè rivolgersi all'esterno, il gruppo risolve il problema affidando le vocals al batterista Phil Collins. Il risultato  sono due albums ("A Trick Of The Tail" e "Wind  And Wuthering") che proseguono il discorso interrottosi dopo "Selling England By The Pound", ovvero una sorta di semplificazione del verbo progressivo ed una sua declinazione a favore di una audience più ampia.

giovedì 13 novembre 2014

EVOLUZIONE O INVOLUZIONE? IL CASO GENESIS, PARTE II


Con "Selling England By The Pound" la band riesce a far quadrare il cerchio, realizzando un disco in grado di risultare piacevole anche alle orecchie di chi considera il tradizionale prog troppo indigesto, pur senza perdere nulla dello spirito che li aveva contraddistinti sino ad allora con "Nursery Crime" e "Foxtrot". Arriva anche il grande successo, grazie al singolo "I Know What I Like (In Your Wardrobe)". Una famiglia felice quindi? Per niente, la tempesta è proprio dietro l'angolo in casa Genesis...

lunedì 10 novembre 2014

QUALCOSA E' ANDATO STORTO, PARTE X


Se la separazione da Peter Gabriel per i Genesis si era rivelata infine indolore, ed anzi, i Nostri scoperto nel batterista Phil Collins un vocalist di prim'ordine, erano andati incontro ad un successo addirittura superiore a quello sino ad allora ottenuto. Non si può dire la stessa cosa all'indomani dell'addio da parte di Collins. Negli ultimi anni il binomio Collins-Genesis era divenuto, anche grazie all'enorme riscontro ottenuto da questi come solista, pressoché inscindibile, al punto che, pure qualitativamente, le produzioni di Collins e quelle del gruppo stavano praticamente sullo stesso piano. Sebbene dotato di una buona voce e del "phisique du ròle" adatto, Ray Wilson non si rivelò la scelta adatta per il gruppo, che andò così incontro al primo vero flop della carriera: presi di per sé i tre milioni di copie venduti da "Calling All Stations" non sono un risultato disprezzabile, ma il confronto coi numeri cui i Genesis ci avevano abituato negli anni precedenti (quindici milioni per "Invisible Touch" e dieci e passa per "We Can't Dance") è impietoso. Il conseguente tour promozionale si rivelò un fiasco e divenne palese il fallimento su tutta la linea. Colpita nell'orgoglio e nelle finanze, la band rimase da lì in avanti in stand-by sino alla reunion (auto)celebrativa con Collins nel 2007, che pare chiudere defnitivamente la carriera di una delle 'pop' band più influenti del pianeta.

mercoledì 5 novembre 2014

QUALCOSA E' ANDATO STORTO, PARTE IX


Stelle tra le più splendenti dell'ondata glam metal degli anni '80, gli americani Ratt hanno assaporato sin dagli esordi il successo grazie al brano-simbolo "Round And Round" (tratto dal primo e meraviglioso full-length "Out Of The Cellar") ed hanno proseguito indomiti a fare incetta di dischi d'oro per tutta la seconda metà del decennio. Tuttavia, nonostante un'immagine più sobria e un disco di alto livello come "Detonator" del 1990, l'impatto con le nuove leve di Seattle si è rivelato fatale per il gruppo. La band non ha saputo confrontarsi con i mutati gusti musicali di una nuova e disillusa generazione, intraprendendo una triste parabola discendente che l'ha portata, di lì a poco, ad un mesto tramonto. La prematura scomparsa del chitarrista Robbin Crosby (impietosamente stroncato nel 2002 dall'AIDS) ha posto la pietra tombale ad un gruppo fenomenale. Peccato.

domenica 2 novembre 2014

QUALCOSA E' ANDATO STORTO, PARTE VIII


Passata in un batter d'occhio dall'anonimato al successo, grazie al disco "Stay Hungry" meritevole di aver venduto circa quattro milioni di copie nel 1984, la "Sorella Sballata" dimostra di esserlo tanto di nome quanto di fatto, autosabotandosi la carriera da sola mediante una rilettura del classico "Leader Of The Pack" delle Shangri-Las. Scelto malauguratamente come singolo di lancio del successivo album "Come Out And Play", il pubblico non capisce e non accetta l'improvvisa svolta commerciale (si fa per dire, visti i risultati) attuata dalla band. Il disco, che francamente non è privo di momenti validi, ed a tratti esaltanti, vende circa un decimo rispetto al precedente inaugurando la crisi che prenderà una forma definita ed irreversibile nel successivo ed ancora più morbido "Love Is For Suckers". I Twisted Sister non fanno più parlare di sè fino all'inizio del XXI secolo, quando anch'essi scelgono di riunirsi per inaugurare l'ennesimo carrozzone (auto)celebrativo.

giovedì 23 ottobre 2014

QUALCOSA E'ANDATO STORTO, PARTE VI


Curioso come, tolta una tomba (grave) dal nome, i tedeschi Grave Digger se ne siano scavati invece una con le proprie mani. Con "Stronger Than Ever" del 1986 il gruppo, ribattezzatosi Digger, tenta un approccio musicale più morbido rispetto a quello dei primi lavori, nella speranza di far breccia nelle classifiche. L'operazione, neanche a dirlo, è un fallimento su tutta la linea: il flop è di quelli pesanti e per risentir parlare della band bisogna aspettare quasi un decennio, quando, contando sulla memoria corta dei fans, vengono recuperati ragione sociale e stile degli esordi, inaugurando così una seconda parte di carriera che dura ancora oggi tra pochi alti e molti bassi.

lunedì 20 ottobre 2014

QUALCOSA E' ANDATO STORTO, PARTE V


Brutta bestia il successo: ti porta fama e denaro ma replicarlo è difficile, talvolta per un'oggettiva incapacità degli artisti, talaltra per improvvisi attacchi di "disinteresse acuto" da parte del pubblico. Nel caso degli Europe, l'opzione da valutare è la seconda, giacché sia "Out Of This World" che "Prisoners In Paradise" sono dischi di tutto rispetto, pieni zeppi di brani grandiosi, ma, ahiloro, privi di un hit trainante (leggasi: ruffiano) come lo era stato "The Final Countdown". Riascoltati oggi, sono indubbiamente lavori che avrebbero meritato una maggiore fortuna commerciale, ma sono invece andati incontro (il secondo, soprattutto) ad un destino avverso che ha portato ad un decennio di stallo nelle attività del gruppo, rinato nel nuovo millennio con tutta l'intenzione di non campare esclusivamente sul passato, ma trovare nuove vie per un (si spera roseo) futuro.

mercoledì 15 ottobre 2014

QUALCOSA E' ANDATO STORTO, PARTE IV



Messi di fronte al (triste) e radicale cambiamento avvenuto nella scena musicale degli anni novanta, i Def Leppard decisero, con grande coraggio ma forse poca obiettività, di dare un taglio al passato. In tale senso, la pubblicazione l'anno precedente della raccolta "Vault" avrebbe dovuto segnare tanto una celebrazione di 15 anni di attività discografica, quanto la chiusura di una fase nella carriera della band. Nel 1996 vide quindi la luce "Slang": via il logo che fino ad ora aveva caratterizzato tutta la produzione dei cinque inglesi e via anche i brani di facile presa che li avevano resi una delle band (hard) rock di maggior successo; dentro, uno stile maggiormente sperimentale e moderno. Se le speranze erano quelle di crearsi una nuova base di fans, esse andarono del tutto disattese e i Leppard si trovarono a fronteggiare, in luogo delle ampie platee di ammiratori di un tempo, il primo vero flop della loro carriera ed ingranarono in fretta e furia la retromarcia, recuperando logo e "style" dei tempi d'oro per il successivo "Euphoria" del 1999. Colpa o no di "Slang" (che, sia detto per inciso, è un grande album), comunque il danno era fatto ed il futuro di carriera assumerà tinte assai meno platinate di quanto era stato in precedenza.

lunedì 29 settembre 2014

MERAVIGLIOSAMENTE 60'S, PARTE II


Prima di divenire nella natia Inghilterra una fucina di hits con pochi eguali (oltre 120 milioni di dischi venduti!), gli Status Quo hanno vissuto alla fine degli anni sessanta un periodo legato in pieno al dilagante fenomeno psichedelico. Con il primo album hanno goduto di una certa notorietà anche negli USA, che rimarranno invece curiosamente refrattari al prosieguo di carriera della band. Brani come "Pictures Of Matchstick Men", se fossero stati pubblicati trent'anni dopo in pieno revival 60's, avrebbero ancora goduto del plauso delle classifiche. Niente di meno che il miglior esempio di come la qualità sia in grado di trascendere le barriere generazionali. Bravi.

giovedì 25 settembre 2014

QUALCOSA E' ANDATO STORTO, PARTE III


Complice un'immagine accattivante ed una serie di brani "facili", adatti a radio ed MTV, i 'glamsters' Poison conquistano classifiche e riconoscimenti per tutta la seconda metà degli anni ottanta e gli inizi del successivo decennio. L'abbandono del chitarrista C.C. DeVille dopo il tour promozionale per l'ottimo "Flesh And Blood" del 1991 fa precipitare la band in una seria "impasse". La soluzione per uscirne pare essere quella di reclutare l'asso delle sei corde corde Richie Kotzen, limare gli aspetti troppo colorati della propria immagine ed effettuare un deciso cambiamento di stile, verso lidi maggiormente blues e "seri", con la speranza di ingraziarsi anche quella critica che fino ad ora ha snobbato il gruppo. I risultati, ahiloro, sono esattamente agli antipodi di quanto sperato: i fans restano basiti all' ascolto del nuovo disco "Native Tongue", la critica non si smuove dalle proprie convinzioni, MTV li ritiene oramai roba vecchia e - ciliegina sulla torta- il giovane Kotzen mette gli occhi (e non solo!) sulla ragazza del batterista Rikki Rockett, guadagnandosi una velocissima fuoriuscita dal combo. Il colpo è di quelli duri da superare ed il gruppo rimane, discograficamente parlando, in stand-by per un lungo periodo mentre il cantante Bret Michaels si consola tra le... braccia (ehm...) della procace Pamela Anderson. Il richiamo di DeVille, uscito da serissimi problemi di tossicodipendenza, riporta in vita a fine decennio la line-up originale, ma trasforma i Poison nell'ennesima band costretta a vivere sui ricordi delle glorie che furono.

lunedì 22 settembre 2014

AUTENTICI SOPRAVVISUTI


Era il 1993 e all'epoca questa commistione di synth-pop e rock fu una vera e propria rivelazione per chi scrive. Solo anni dopo abbiamo scoperto cosa c'era dietro: Dave Gahan all'ultimo stadio di una dipendenza da eroina, Andy Fletcher in depressione e Martin Gore in preda a crisi epilettiche ed in lotta continua con Alan Wilder, al punto che quest'ultimo sloggiò appena possibile. A conti fatti è un miracolo con la M maiuscola che oggi si parli ancora di Depeche Mode come di una realtà attualmente viva e vegeta.

mercoledì 17 settembre 2014

UHM, CONOSCO QUEL RIFF, PARTE I


Con una durata complessiva superiore ai 17 minuti nella sua versione da disco, il pezzo, in questa forma ridotta, ha goduto di un gran successo, ma non ha portato molta fortuna agli Iron Butterfly, poi incapaci di ripetersi su questi livelli, commercialmente parlando. Ah, se vi state chiedendo cosa significhi il titolo...beh nelle intenzioni avrebbe dovuto essere "In The Garden Of Eden", ma dato che il cantante era troppo "fumato" in studio per riuscire a pronunciarlo correttamente, si decise infine di lasciarlo così. Il resto, come si suol dire, è storia.

lunedì 15 settembre 2014

AVANTI UN ALTRO, PARTE III


Quando Ozzy Osbourne decide di abbandonare definitivamente i Black Sabbath nel 1978, in molti vedono questa separazione come la fine prematura di una brillante carriera. Contro ogni previsione, invece, il gruppo decide di proseguire la propria avventura, accogliendo nei propri ranghi un certo Ronnie James Dio, anch'egli reduce da un divorzio musicale tutt'altro che indolore con Ritchie Blackmore, all'epoca interessato a conferire sfumature a stelle e strisce al suo "Arcobaleno". A differenza del "madman", il folletto italo-americano può contare su eccellenti capacità vocali, pur non possedendo quel tocco teatrale che ha contraddistinto le gesta del suo predecessore. Il primo parto di questa nuova incarnazione della band inglese rimane ad oggi una delle splendenti vette di tutto l'heavy metal classico. "Heaven And Hell" è un disco a dir poco splendido, ricco di episodi variegati che spaziano dall'arrembante "Neon Knights" all'epica title track, la quale fa da trampolino per i lunghi assoli di Iommi durante le esibizioni dal vivo. Il successivo "Mob Rules", per il quale troviamo dietro alle pelli Vinnie Appice al posto del dimissionario Bill Ward, non è da meno ed ha i suoi punti di forza nella terremotante "Turn Up the Night", nella tortuosa "The Sign Of The Southern Cross" e nella sulfurea accoppiata "E5150 / The Mob Rules". Il meccanismo si inceppa a causa della pubblicazione del doppio live "Live Evil", autentico teatro di reciproche accuse di voler dar troppo risalto in fase di mixaggio alle proprie performance, tanto da parte di Dio, quanto da Iommi. Inevitabile la rottura: il frontman crea un proprio progetto musicale omonimo portandosi dietro il fido Vinnie Appice, mentre i Black Sabbath reclutano addirittura l'ex Deep Purple Ian Gillan, il quale darà vita all'oscuro "Born Again". Gli anni novanta vedranno una reunion della formazione Iommi / Butler / Dio / Appice per il sopravvalutato "Dehumanizer" ed in anni più recenti il combo si riunirà di nuovo, questa volta sotto il moniker "Heaven And Hell", ma i risultati, per quanto apprezzabili, non hanno né il fascino, né l'importanza di quanto realizzato con i primi due capitoli.

mercoledì 10 settembre 2014

CHE INIZI IL COUNTDOWN...



Che cos'è? Semplice: il master per l'edizione in vinile di "The Endless River", il "nuovo" (le virgolette sono d'obbligo visto che abbiamo a che fare con dei brani ripescati dalle sessions di "The Division Bell") album di ciò che resta dei Pink Floyd. Data di pubblicazione prevista: 11 novembre. Staremo a sentire.

lunedì 8 settembre 2014

QUALCOSA E' ANDATO STORTO, PARTE II


Campioni di incassi tra la fine degli anni settanta e la metà del decennio successivo, i Foreigner entrano in crisi profonda a causa della dipartita del frontman Lou Gramm, ufficializzato nel 1990. Come sostituto viene ingaggiato l'ex cantante dei King Kobra Johnny Edwards, il quale interpreta dignitosamente il poco fortunato "Unusual Heat". Nel tentativo di salvare la barca in procinto di affondare, l'ex cantante viene infine richiamato, ma "Mr. Moonlight", lungi dall'essere il segno della rinascita, non trova spazio né in radio, né su una MTV votata quasi solo al grunge ed al punk rock melodico (Green Day, The Offspring ed affini). Gravi problemi di salute porteranno poi Gramm ad abbandonare di nuovo il gruppo, che continuerà per la sua strada, ingaggiando musicisti senz'altro di valore, ma che ben poco potranno fare per evitare il tramutarsi della band in un puro e semplice "marchio".

giovedì 4 settembre 2014

QUALCOSA E' ANDATO STORTO, PARTE I


Si crede comunemente che i progetti creati a tavolino per questione di marketing siano esclusiva prerogativa della musica pop e, se in gran parte ciò è vero, i Bad4Good vanno considerati come l'eccezione che conferma la regola. Il quartetto di ragazzini (il più "vecchio" all'epoca aveva soli 16 anni) venne messo insieme nel 1992 dall'axeman Steve Vai attorno al chitarrista prodigio Thomas McRocklin, che aveva partecipato al video per il suo brano "The Audience Is Listening". Il disco "Refugee" fece una velocissima comparsata nella top 40 U.S.A. e le foto contenute all'interno dell'album, con i ragazzi in costume semi-adamitico, provocarono un'impennata, più che di vendite, delle "zone basse" di qualche pedofilo e fecero ben poco per garantire un futuro alla formazione che si dissolse come neve al sole.

domenica 31 agosto 2014

FUNNY ROCK FILES: BRYAN ADAMS PRENDE UNA CHIARA "POSIZIONE"...


"Summer Of '69" è indubbiamente uno dei brani più noti pubblicati da Bryan Adams. Pare che il testo sia un ricordo nostalgico dei bei tempi andati, quindi in molti hanno dato per scontato che il "'69" si riferisca all'anno 1969. Bene: non è così! Bryan è nato nel 1959, dunque nel 1969 il frontman canadese avrebbe avuto solo dieci anni... decisamente pochi per essere il portatore dei ricordi espressi dalla canzone. Ma allora non vorrete forse dirmi che il "'69" si riferisca a...quello? Esatto! Il protagonista ha dichiarato che la canzone è "senza tempo" perché parla dell'amore e dell'estate. Il "'69" non è altro che la nota posizione del kamasutra. Che simpaticone questo Bryan!

mercoledì 27 agosto 2014

WTF???


Pensi agli Slade e ti viene in mente quella band dal look altamente improbabile, che nei primi anni '70 mise a soqquadro le classifiche inglesi, con una serie di singoli divenuti pietre miliari della scena "glam". Poi vai ad ascoltare cosa proponevano all'inizio della decade successiva e trovi un brano che inizia come se fosse un pezzo degli Styx dell'epoca d'oro (!) e prosegue con un riff che pare (e forse, a ben vedere, è) rubato ai Sex Pistols (!!). Se non sono sorprese queste...

venerdì 22 agosto 2014

L'ENNESIMO (TRISTE) CAMBIO DELLA GUARDIA...


Se non sei biondo scordati di diventare il chitarrista degli Whitesnake. Se non sono "cliches" da vecchie band in attesa di rottamazione questi...

domenica 17 agosto 2014

QUASI UN BACIO D'ADDIO... (1980-1983)


Al momento della pubblicazione di "Unmasked", a lampeggiare ben più del loro celebre logo è la scritta "venduti!" sulla fronte dei membri del gruppo: i fans "storici" boicottano in pieno il nuovo lavoro, accusato di essere troppo commerciale e la band, trovato in Eric Carr un sostituto al "catman" Peter Criss, cerca un nuovo mercato in Europa e, soprattutto, in Australia. L'accoglienza riservata al "bacio" in tale nazione va al di là di ogni aspettativa e i concerti in stadi stracolmi fanno temporaneamente dimenticare ai quattro la debacle statunitense. Terminato il tour, tuttavia, i nodi vengono al pettine: il gruppo vuole da un lato riconquistare i fan perduti, dall'altro accattivarsi anche le simpatie della critica, da sempre piuttosto incline a considerare i KISS poco più di un fenomeno da baraccone che nasconde dietro al trucco, i costumi e gli effetti speciali la totale mancanza di talento compositivo. Richiamato dietro il banco di regia Bob Ezrin, che già aveva collaborato a "Destroyer" nel 1976, la band si mette al lavoro su quello che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto essere il disco della definitiva consacrazione, ma si rivelerà nei fatti un disastro colossale. Il concept-album "Music From: The Elder", nato come colonna sonora per un film mai realizzato, vede il gruppo abbandonare le sonorità pop degli ultimi lavori, in favore di un "mood" dai tratti epici e fantasy, cui si accompagnano brani maggiormente radiofonici come ad esempio il singolo "I". Sebbene nel complesso il disco non sia affatto male ed anzi abbia molte frecce al suo arco, il responso commerciale è del tutto fallimentare, al punto che ogni progetto per un tour promozionale viene abbandonato. Persino la speranza di una calda accoglienza da parte dei critici viene smentita e questi, semmai, alzano i calici in un brindisi a (quella che credono sia) la fine della band! Come se non bastasse, Ace Frehley, trovatosi in posizione di subordinarietà dopo la fuoriuscita di Criss, non nasconde la sua totale insoddisfazione dei confronti dell'album e affonda i dispiaceri nella bottiglia, costringendo addirittura il gruppo ad esibirsi in trio nel corso di una apparizione televisiva. La situazione è un disastro su tutti i fronti e solo la tenacia di Gene Simmons e Paul Stanley evita che si ponga la parola fine alla storia dei KISS: il gruppo si rimette in pista, fa un passo (anzi, due!) indietro ed inizia a lavorare ad un disco dai tratti marcatamente hard rock ma è chiaro come Ace oramai sia fuori dalla partita. Sebbene lo si trovi sulla copertina di "Creatures Of The Night" e nelle apparizioni televisive per promuoverlo, il chitarrista non ha suonato una sola nota sul nuovo album e, come già avvenuto con Peter Criss per "Unmasked", la sua presenza è solo di facciata. Le speranze di riconquistare le posizione perdute vengono messe duramente alla prova dal riscontro di vendite dell'lp, di poco superiori a quelle del predecessore, ma questa volta si decide di organizzare comunque un tour, nel corso del quale fa la comparsa, come sostituto di Frehley, Vinnie Vincent, il "ghost guitarist" di "Creatures". Il tour americano, che coincide con il decennale del gruppo, è null'altro che una lunga agonia fatta di concerti in arene semideserte, ma a risollevare il morale dei quattro giunge la richiesta di esibirsi in Sud America per una serie di concerti che ha il suo apice in una data allo stadio Maracanà, pieno all'inverosimile. Rientrati negli States, i KISS sanno che è ora di dare un taglio al passato e optano per l'abbandono del trucco e dei costumi di scena, mossa che se da un lato scontenterà molti, dall'altro permetterà alla band di rimettersi al pari dei tanti colleghi / rivali emersi negli ultimi anni. Nel settembre del 1983 la band appare per la prima volta "a viso scoperto" davanti alle telecamere di MTV per promuovere il disco "Lick It Up": è la fine di un'era e l'inizio di un periodo che sarà ricco di soddisfazioni commerciali ma non privo di ostacoli.

mercoledì 13 agosto 2014

... E SE FOSSE ANDATA COSI'?, PARTE II


Nel 1982 Ace Frehley oramai era fuori dai KISS (anche se i fans lo avrebbero saputo solo molto tempo dopo) e quindi il gruppo si mise alla ricerca di un rimpiazzo. Tra i numerosi chitarristi interessati al posto c'era persino Eddie Van Halen, che si presentò da Gene Simmons confessandogli di voler abbandonare la sua band, a causa dei conflitti insanabili con David Lee Roth e chiedendo al bassista di potersi unire al "Bacio". Simmons riuscì a far cambiare idea al poliedrico musicista ed il posto vacante andò infine a Vinnie Vincent. Eddie da parte sua avrebbe risolto i problemi con Roth nel giro di tre anni, quando quest'ultimo decise di lasciare i Van Halen per imbarcarsi in una carriera solista.   

sabato 9 agosto 2014

... E SE FOSSE ANDATA COSI'?, PARTE I


Terminato il tour di supporto a "Drama", gli Yes si seprarono nel 1981. Chris Squire e Alan White contattarono Jimmy Page per lavorare ad un nuovo progetto e quando anche Robert Plant sembrò interessato alla cosa, si iniziò a parlare degli XYZ (ex Yes Zeppelin) come del più grande "super gruppo" in circolazione. Dopo alcune prove, tuttavia, la faccenda sfumò. Plant si dedicò ad una carriera solista, Page rimase per un pò in disparte, mentre White e Squire rimisero in piedi una nuova versione degli Yes (inizialmente denominata Cinema), centrando di lì a poco il più grande successo della loro carriera con la smash hit "Owner Of A Lonely Heart".

mercoledì 6 agosto 2014

QUANDO L' "AEROFABBRO" PRESE IL VOLO


E' il 1973 quando Steven Tyler, Joe Perry, Brad Whitford, Joey Kramer e Tom Hamilton irrompono sulle scene con il primo album, l'omonimo "Aerosmith", gettando il seme di una carriera destinata a renderli una delle band rock di maggior successo di sempre (oltre 150 milioni i dischi venduti ad oggi, e scusate se è poco!). Tanto il debutto quanto il successivo "Get Your Wings" del 1974 ottengono inizialmente tiepidi riscontri, sebbene contengano brani destinati a divenire veri classici del repertorio del gruppo, quali la ballata "Dream On" e la ripresa di "Train Kept-A-Rollin". E' la seguente tripletta di lavori quella che li vede (finalmente) raggiungere il successo di massa: "Toys In The Attic", "Rocks" e "Draw The Line", tra il '75 ed il '77 li trasformano in quella che è forse la più grande rock band americana del decennio, con milioni di copie smerciate e tour in stadi stracolmi. "Sweet Emotion", "Walk This Way", "Back In The Saddle", "Rats In The Cellar" sono solo alcuni dei brani che li consegnano alla storia del rock, ma gli stravizi alcolici e, soprattutto, "chimici" lasciano il segno e contribuiscono alla crisi che, a fine decennio, porta all'abbandono di Perry, con conseguente appannamento di vendite ed immagine. Sembrerebbe la fine, ma con la metà della decade successiva il gruppo riesce nel più grande ed inaspettato miracolo possibile nel music businness: la resurrezione. Poco altro da aggiungere: una leggenda.

mercoledì 30 luglio 2014

FUNNY ROCK FILES: ALICE COOPER E L'UCCELLO CHE NON SI ALZA... IN VOLO

Che Alice Cooper fosse destinato a divenire il re dello "Shock Rock" dei 70s lo si evince anche da un curioso fatto avvenuto nel 1969 nel corso di un festival tenutosi a Toronto. Durante l'esibizione era previsto che la band distruggesse alcuni cuscini, riempiendo il palco delle piume che li imbottivano, ma sul palco oltre a detti cuscini fece la sua apparizione anche... una gallina! Basandosi sull'equazione (sbagliata!) secondo cui la gallina è un uccello-gli uccelli volano- la gallina volerà via, Cooper gettò il pennuto sul pubblico, pensando che si sarebbe librato in aria. Come è facilmente intuibile le cose andarono in maniera diversa e l'animale precipitò sulle prime file, occupate da disabili in carrozzina che (incredibile a dirsi!) lo fecero a pezzi! L'evento ebbe un enorme eco mediatico e diede il via a voci incontrollate, al punto che il giorno seguente Frank Zappa (proprietario della Straight, etichetta per la quale all'epoca il gruppo incideva) telefonò ad Alice: "E' vero che hai staccato la testa alla gallina e ne hai bevuto il sangue?" Alla risposta negativa da parte del cantante, Zappa rispose con un: "Beh, qualsiasi cosa accada, non dire a nessuno che non l'hai fatto!" Come si suol dire, nel business l'importante è che (vero o no) se ne parli!

domenica 27 luglio 2014

FUNNY ROCK FILES: LA STRANA "DIETA" DI OZZY OSBOURNE


Anche per chi con lo conosce musicalmente, Ozzy Osbourne rimane "Ah, si! Quello che mangia i pipistrelli!". La storia (che è un pelino diversa) si è svolta così: nel 1982, durante il tour di "Diary Of A Madman" (titolo appropriato, non c'è che dire) Ozzy era solito incalzare il pubblico chiedendo che gli gettassero della carne sul palco. Una sera davanti a lui piombò un pipistrello che, stordito dalle luci, se ne stava immobile. Ozzy pensò si trattasse di un pupazzo di gomma e decise quindi di fare un pò di scena: ne addentò il capo e ...lo strappò. Solo allora si rese conto che la bestia NON era un pupazzo e venne portato di corsa in ospedale per una vaccinazione antirabbica. Immediatamente dopo il fatto si diffusero anche voci (chiaramente false) sulla morte del cantante in seguito al morso del pipistrello. Questo è l'aneddoto più celebre riguardo il buon Ozzy, ma un altro evento simile, quasi contemporaneo, non è da meno: durante un incontro con i dirigenti della CBS, il cantante ebbe la brillante idea di nascondersi nelle tasche due colombe da prestigiatore. Il piano era che, entrato nella stanza, esse sarebbero volate via garantendogli un ingresso spettacolare. Sfortunatamente solo una delle colombe prese il volo e quindi Ozzy afferrò l'altra e...le staccò la testa a morsi (è un vizio allora!). Nel caso non vi dovesse bastare, Nikki Sixx, bassista dei Motley Crue, racconta che Ozzy lo sfidò a far pipì a terra e leccare ognuno la propria urina. Sixx accettò la sfida ed iniziò ad urinare ma, mentre stava accingendosi a leccarla, il cantante lo aveva già battuto! Si dice che leccò persino l'urina di Sixx e con la cannuccia di un drink sniffò una colonna di formiche che passavano per la stanza. Sixx non ebbe il coraggio di fare altrettanto...come dargli torto?

mercoledì 23 luglio 2014

5 SFUMATURE DI (SABBA) NERO, PARTE V


Considerare i tre lavori pubblicati con Tony Martin come opere secondarie e "minori" non rende giustizia a dischi che, sebbene storicamente meno importanti rispetto ad altri, non mancano di contenere brani eccellenti, certamente diversi nella struttura rispetto a quelli del primo periodo ma sempre dotati di quell'appeal "oscuro" che è il marchio di fabbrica dei Black Sabbath.

martedì 22 luglio 2014

5 SFUMATURE DI (SABBA) NERO, PARTE IV


Dopo la parentesi con Ian Gillan alla voce per l'atipico "Born Again" (Purple Sabbath, ehm...), la band inizia a perdere pezzi a destra e a manca. Tony Iommi pensa di dedicarsi ad una carriera solista, ma ragioni di mercato lo obbligano a pubblicare "Seventh Star" con il nome "Black Sabbath" ben in vista in copertina. Glenn Hughes, anche lui come Gillan un ex-Deep Purple (è un vizio allora!) fa tutto sommato un buon lavoro in studio, ma quando il tour parte è evidente come l'assuefazione alla cocaina lo abbia reso l'ombra di se stesso. Ed il giocattolo si rompe di nuovo.

sabato 19 luglio 2014

5 SFUMATURE DI (SABBA) NERO, PARTE III


Privi del carismatico Ozzy Osbourne, approdato ad una fortunata carriera solista, i Black Sabbath con il ben più "dotato" Ronnie James Dio realizzano una coppia di lavori eccellenti che restituiscono al gruppo una credibilità che sembrava oramai perduta con il pessimo "Never Say Die". Sebbene solitamente si tenda a dare maggiore rilievo al primo, "Heaven And Hell", anche il successivo "Mob Rules" ha numerose frecce al suo arco e sconta esclusivamente, a parere di chi scrive, il fatto di essere venuto "dopo" quel monumentale lavoro.

sabato 12 luglio 2014

5 SFUMATURE DI (SABBA) NERO, PARTE II


Con "Master Of Reality", la band dimostra di non essere un fuoco di paglia dimostrandosi in grado di codificare quel sound che la renderà portabandiera dello stile definito 'doom metal'. Brani epici come "Children Of The Grave" e "Into The Void" sfoggiano i migliori riff dei Black Sabbath, con buona pace di chi pensa sempre, solo ed esclusivamente a "Paranoid".

mercoledì 9 luglio 2014

5 SFUMATURE DI (SABBA) NERO, PARTE I


Se l'esordio omonimo del 1970 è un fulmine a ciel sereno, pietra di paragone per decine di band di lì a venire, col secondo "Paranoid" i Black Sabbath ottengono riconoscimenti in ogni dove, grazie alla celeberrima title track. A onor del vero, ogni pezzo del disco merita la palma di "classico", dotato com'è di un songwriting anni luce avanti rispetto a quanto pubblicato da molte band coeve.

domenica 6 luglio 2014

DEDICATO A VIRGIN FOREST: IL GLAM ROCK E' MORTO? W IL GLAM ROCK!


Chiunque sia convinto che il glam rock sia (solo) composto da rimmel, eyeliner e capelli ultra cotonati è fuori strada. Anzi, questo atteggiamento autolesionista ha ridotto il genere stesso ad una buffonata alla fine degli anni ottanta condannando a morte i pochi superstiti rimasti. 1972, questo disco anticipa tutto ciò che hanno composto in seguito gente come AC/DC, KISS, Motorhead, Aerosmith etc. Brutti come la fame, questi 4 inglesotti assomigliavano di più a quattro operai condannati ad affogare le fatiche quotidiane in ottimi pub ed invece avevano un tiro spaventoso, associato alla pura magia del divino chorus in grado di stendere chiunque. Continuate poi lo stesso a venerare gentaglia come Pretty Boy Floyd, Nitro e schifezze assortite, ma per Dio, date almeno una chance a questo capolavoro (ed anche al più levigato "Slade In Flame").

domenica 29 giugno 2014

45 ANNI DOPO, IL DIRIGIBILE VOLA ANCORA ALTO...


La più grande rock band degli anni settanta? No, o meglio, non solo. I Led Zeppelin sono molto di più: la Quintessenza della rock band. Dotati di un carisma e di un alone che non esiterei a definire "mistico", gli Zeppelin hanno costruito nel decennio, che li ha visti discograficamente attivi, ciò che quasi nessuna band era mai stata capace di fare, attingendo a quelle radici blues che sono il fondamento di tutta la musica definita "rock" e rielaborandole in brani destinati a divenire pietre miliari. Così come i The Beatles (che in quegli anni stavano vivendo i loro ultimi, difficili, momenti) erano divenuti simboli ed icone degli anni '60, così gli Zep lo saranno per il decennio successivo, in un susseguirsi di trionfi, eccessi e tragedie personali che hanno pochi eguali nel - solitamente ben fornito - mondo del rock. La morte di John Bonham nel 1980 porrà fine al gruppo, che si rivelerà tra i pochi restii a tour autocelebrativi e reunion posticce, ma non spegnerà quel "fuoco sacro" che ancora oggi spinge ogni adolescente che si avvicini alle sei corde ad inerpicarsi sulla "Scalinata Per Il Paradiso".

giovedì 26 giugno 2014

CHI DI VOI E' PINK?


All'interno di una discografia pressoché impeccabile come quella dei Pink Floyd (uno dei pochi gruppi che hanno avuto l'intelligenza di eclissarsi quando le idee iniziavano a scarseggiare, senza indulgere in inutili, per quanto remunerativi, post-scriptum), "Wish You Were Here" sconta il fatto di essere uscito dopo che la band aveva mostrato al mondo ciò che si celava sul "Lato oscuro della luna". Si tratta quindi di una posizione di subordinarietà solo temporale e non qualitativa, giacché, almeno per chi scrive, questo disco è l'Essenza dei Pink Floyd, giusto un attimo prima che Roger Waters prendesse in mano completamente le redini del gruppo per una triade di lavori che (soprattutto l'ultimo, "The Final Cut") appaiono -almeno concettualmente- come progetti solisti col nome dei Floyd in copertina. Dedicato al "diamante pazzo" Syd Barrett ed ispirato al concetto di "assenza", l'album mostra nei suoi cinque ( o quattro, se si considera "Shine On You Crazy Diamond" come un'unica suite) brani tutte le componenti che hanno reso il gruppo assoluto protagonista, per vendite ed importanza storica, del rock inglese: atmosfere progressive, guidate dalle soffuse tastiere del compianto Richard Wright, per la succitata "Shine On", acida cattiveria per "Welcome To The Machine" e smaccata ironia per "Have A Cigar" ("Oh, By The Way, Which One's Pink?"), senza dimenticare il delicato arpeggio della title track, brano tra i più noti della band. Un lavoro che, anziché inquadrare un periodo, travalica tempo e spazio, come solo i Capolavori, quelli con la C maiuscola, sanno fare.

martedì 24 giugno 2014

FUNNY ROCK FILES: I BLACK SABBATH ED I PROBLEMI CON LA MATEMATICA!

Come se il fatto di aver ingaggiato Ian Gillan come cantante non fosse già di per se abbastanza risibile come cosa, visto l'abisso che separa i Black Sabbath dai Deep Purple tanto concettualmente (cupi e introspettivi i primi, allegri e solari- escluso Blackmore- i secondi) quanto visivamente, il tour del discusso "Born Again" vide la band incappare in una disavventura talmente ridicola da essere entrata negli annali del Rock. La presenza del brano strumentale "Stonehenge" all'interno del suddetto album fu l'ispirazione per lo stage set dei concerti, il quale avrebbe dovuto riprodurre le ciclopiche strutture del noto sito archeologico. Sulla carta tutto bene...i problemi emersero quando si dovette passare alla realizzazione fisica del progetto. Il manager della band, Don Arden (padre di Sharon, moglie dell'ex frontman Ozzy Osbourne) infatti scrisse le dimensioni pensandole in "piedi" (misura tipicamente anglosassone) ma per errore le indicò in metri! Risultato: la ditta costruttrice realizzò (a costi astronomici) delle strutture ampie 15 metri, troppo grandi per qualsiasi palco presente nelle arene in cui il gruppo avrebbe dovuto esibirsi e, come conseguenza, esse furono per lo più inutilizzabili nel corso del tour. Possiamo solo immaginare l'espressione di Tony Iommi quando vide il palco finito e si rese conto del "piccolo" problema. Gillan, da parte sua, probabilmente si fece una grassa risata e si recò al pub più vicino.

domenica 1 giugno 2014

C'E' UN LIMITE ALLA VERGOGNA?


Curiosando su You P... (ehm) You Tube in tarda nottata, siamo venuti involontariamente a conoscenza dell'esistenza sul pianeta Terra di tale Jan Terri. Se fino ad oggi nessuno ne ha sentito parlare, ci sarà pure un motivo! Autrice di due album prodotti per la sua 'JT Records' (?) all'inizio degli anni '90, la goliardica e paffutella "artista" di Chicago, ci delizia con un grottesco pastone di pop, rock'n'roll, country e gorgheggi vari che rasentano, anzi, affrontano e danno un nuovo significato al concetto di ridicolo. Sul web girano almeno quattro videoclip amatoriali di Jan, tra i quali "spicca" il vomitevole "Losing You". Rimarchiamo le riprese assolutamente amatoriali, al confronto delle quali il video della vostra Cresima apparirà come un film di Spielberg, altresì corroborate da uno storyboard grottesco, da personaggi al limite del credibile ed affossato dalla performance della "cantante". Scossi dalle continue risate, non siamo in grado di descrivervi ulteriormente lo scempio perpetrato nei confronti della Musica, anche se alla fine del brano ci ritroveremo nostro malgrado a canticchiare l'abominevole chorus. VERGOGNA!!!!!!!!

lunedì 26 maggio 2014

LA BATTUTA DA OSCAR!


Scena: uno sbarbatello, mentre piscia fuori dal finestrino di un pulmino in corsa, ha il "pipino" tranciato di netto a causa di un incidente. Un suo amico va a cercare la "preziosa reliquia" e, trovatola, la getta in grembo al malcapitato dicendogli: "E poi non dire che non ho mai fatto un cazzo per te!" Cinema d'autore.

martedì 20 maggio 2014

UN DUCA (BIANCO) IN SCARPE DA TENNIS: DAVID BOWIE 1983-1987


Quando David Bowie ritorna sulle scene nel 1983, a tre anni di distanza dalla rinascita commerciale di "Scary Monsters (And Super Creeps)" molte cose sono cambiate ma sono tre quelle su cui è bene soffermarsi. Prima: la casa discografica, che non è più la RCA bensì la EMI. Seconda: scade proprio in questo periodo il contratto che prevede ampissimi margini di guadagno su ogni prodotto targato Bowie a favore dell'ex manager del cantante. Terza, ma non ultima: un nuovo canale televisivo, di nome MTV, ha fatto da poco la sua comparsa portando i neonati videoclip nelle case di un pubblico di fruitori di musica infinitamente più grande rispetto a quello di pochi anni prima. Bowie sa di (o, quantomeno, crede di) doversi adeguare allo stile, tanto musicale che estetico, dei colleghi / rivali per rimanere sulla cresta dell'onda ed avvalendosi del produttore Nile Rodgers dà alle stampe "Let's Dance" primo album di una trilogia discografica maggiormente pop rispetto alla passata produzione. La mossa dà i suoi frutti e la title track dell'album diviene il singolo di maggior successo della carriera del cantante, reinventandolo come superstar e tracciando un profondissimo solco tra ciò che è stato e quello che è di lì a venire. Assaporato il successo e gli incredibili bagni di folla nel corso del successivo Serious Moonlight Tour, Bowie prosegue sulla stessa strada col successivo "Tonight" ma a questo punto è chiaro come l'ex Duca Bianco si trovi del tutto spaesato nelle sue nuove vesti. Il disco, pur generando una serie di singoli di discreto successo, non vende come il predecessore e sconta già in partenza una sorta di aridità creativa, risultando composto per la maggior parte di cover o rielaborazioni di brani già editi in precedenza. Nel tentativo di recuperare le posizioni perdute, "Never Let Me Down" del 1987 contiene solo di brani "nuovi" ma ciononostante fatica a decollare, sebbene abbia al suo interno quello che è probabilmente il miglior pezzo realizzato da Bowie nel decennio, ossia "Time Will Crawl". Accortosi del passo falso, sommerso da critiche e sfottò da parte della carta stampata e deciso a non tramutarsi nell'ennesima rock star sul viale del tramonto, David non esita a rinnegare questi ultimi due dischi già poco dopo la loro pubblicazione, bollandoli come il suo "Periodo Phil Collins" e si reinventa non come solista, bensì come membro di una band, i Tin Machine, autori di due lavori poco apprezzati sia dalla critica che dal pubblico. La vera rinascita artistica di Bowie si avrà solo nel '93 con "Black Tie White Noise", primo di una serie di lavori curiosamente tanto anti-commerciali quanto i predecessori erano stati radio-friendly. Ne riparleremo.

venerdì 16 maggio 2014

FrankenSTEINMAN Jr.


Jim Steinman è uno che ha fatto del detto "poche idee, ma buone" un pò uno stile di vita, giacché non è mai stato un autore straordinariamente prolifico ma ha sempre lasciato il segno. Dopo aver scritto per intero il colossale "Bat Out Of Hell" di Meat Loaf ed aver accettato che il suo nome apparisse solo in piccolo in copertina, il songwriter si mette al lavoro per dare un seguito a quel "mostro" di album. Tuttavia, fin da subito, è chiaro come le cose non girino per il verso giusto: tra Steinman e Meat Loaf i rapporti si sono fatti piuttosto freddi e quando il cantante perde (letteralmente!) la voce ed abbandona le sedute di registrazione del disco che avrebbe dovuto chiamarsi "Renegade Angel", Jim decide che può farcela benissimo da solo: se i pezzi li ha scritti sarà anche in grado di cantarli, giusto? Ecco, non proprio. Sebbene Steinman sia aiutato in studio da Rory Dodd (di fatto esecutore "in toto" di almeno tre pezzi del disco), il suo cantato sull'album (che viene reintitolato "Bad For Good") impallidisce in confronto a quello di Meat Loaf e rende fiacchi, se non addirittura "fuori tono", brani che se interpretati dall'ex compagno avrebbero avuto ben altro spessore. Pochi mesi dopo l'uscita del disco, un ritrovato Meat Loaf pubblica infine "Dead Ringer", il tanto atteso sequel di "Bat Out Of Hell", che però fa una ben magra figura rispetto al suo predecessore, in gran parte perché Jim ha tenuto per il "suo" disco i brani migliori. Steinman lavorerà ancora come solista, prima con i Fire. Inc. e poi con le Pandora's Box, ma tendendosi d'ora in poi lontano dai microfoni, se non per sporadici interventi "recitati". Non è tuttavia il caso di prendersela a male: non si può eccellere in tutto, giusto?

martedì 13 maggio 2014

SAPER VEDERE LA MUSICA, PARTE IV


Le copertine dei dischi "classici" degli Iron Maiden sono tra le più belle di tutto il panorama metal del periodo e vedono come protagonista Eddie, da sempre mascotte della band e divenuto talmente iconico da essere persino più riconoscibile dei membri stessi del gruppo. La cover del bellissimo "Somewhere In Time", pubblicato nel 1986, vede un Eddie-cyborg spostarsi in un ipotetico futuro che deve molto alle atmosfere del film "Blade Runner", ma è interessante più che altro per la miriade di messaggi (più o meno) nascosti che cela al suo interno. Eccone giusto alcuni che potrebbero esservi sfuggiti:
Sul fronte:
-Il nome della strada in cui si trova Eddie è Acacia, in riferimento al brano "22 Acacia Avenue" presente su "The Number Of The Beast".
-A destra, sopra la mano che spunta dal basso, c'è un poster che riproduce il "vecchio" Eddie.
Sul retro:
-L'orologio segna le 23:58 in riferimento alla canzone "2 Minutes To Midnight".
-Un'insegna pubblicizza il Bar Aces High come l'omonima canzone tratta da "Powerslave".
-Le piramidi sono un altro riferimento all'album "Powerslave", la cui copertina si ispirava all'antico Egitto.
-Bruce Dickinson tiene in mano un cervello, come citazione della cover del disco "Piece Of Mind". 
-Un'altra insegna riporta "Long Beach arena", nome della location dove venne registrato il doppio "Live After Death".
-Nell'angolo in alto a destra (purtroppo coperto dal codice a barre in alcune versioni del disco) appare la figura di Icaro che precipita. E' un ovvio rimando alla canzone "Flight of Icarus", presente su "Piece of mind".
-La scritta "Herbert ails" (traducibile come "Herbert indispone") è un riferimento al fatto che lo scrittore Frank Herbert, autore di "Dune", impedì al gruppo di intitolare come la sua opera un proprio brano (nello specifico "To Tame A Land", da "Piece Of Mind")
Bene, ora prendete la vostra copia del disco (meglio se su LP), una lente d'ingrandimento e trovate tutti i restanti messaggi. Buona ricerca!

sabato 10 maggio 2014

SVEZIA, MON AMOUR


Joe Lynn Turner evidentemente deve avere una passione per i chitarristi incazzosi ed egocentrici! Solo così possiamo spiegare come mai, messi sotto ghiaccio i Rainbow di Sua maestà Ritchie Blackmore a causa della reunion della mark II dei Deep Purple, il cantante decida di passare alla corte di Yngwie J. Malmsteen, uomo tanto dalla tecnica infallibile quanto dal carattere bizzoso ed incostante. Il sodalizio tra i due ha breve durata, ma consegna ai posteri "Odyssey", probabilmente è il miglior disco partorito dal musicista svedese . Basta l'iniziale "Rising Force", dotata di uno dei dieci più bei solo di chitarra su cui si siano mai posate le orecchie di chi scrive, a far capire come Yngwie sia qui riuscito a raggiungere la sintesi ideale di brani ad alto tasso di melodia e fughe chitarristiche "neoclassiche". Non mancano altre perle come il singolo "Heaven Tonight", la delicata ballad "Dreaming" o l'ammaliante "Now Is The Time", pezzi deliziosamente "catchy" ma che sfuggono ad ogni accusa di banalità o piattezza grazie ad un lavoro alle sei corde che ha talvolta del miracoloso. Qualsiasi piano di un seguito viene messo da parte quando Blackmore caccia (di nuovo!) Ian Gillan dai Deep Purple e, alla ricerca di un sostituto che sia – per usare un gioco di parole- "nelle sue corde", decide di andare sul sicuro e chiama il fedelissimo Turner, con il quale registra l'atipico AOR oriented "Slaves And Masters". Malmsteen da parte sua non si fa alcun problema: già che c'è fa fuori il resto del suo gruppo (giusto per far capire bene chi comanda...) e, riassemblata una nuova line up, prosegue sulla sua strada con l'ottimo – ma semi-ignorato- "Eclipse". Una "liaison" durata pochissimo, dunque, ma che ci ha lasciato un Signor disco, sconsigliato solo a chi si sia da poco avvicinato alla chitarra e non voglia, dopo l'ascolto, appendere (capo chino ed aria mesta...) lo strumento al chiodo.

martedì 6 maggio 2014

Frontiers Rock Festival - Il report, parte III


Introduzione a cura di Jen. 

Questa foto riassume l'atmosfera vissuta in questa maratona di 3 giorni, impensabile sino a qualche tempo fa. Al nostro stand abbiamo conosciuto un sacco di persone (connazionali e stranieri) entusiaste per il nostro libro e l'evento stesso. Organizzazione a dir poco perfetta e il Live Club si è rivelato all'altezza delle sue note aspettative. Tutto ciò ha dimostrato che non abbiamo nulla da invidiare alle altre realtà europee, spetta a noi supportare eventi di questa portata.

Report a cura di Diego "Dr.Zed" Zorloni e Stefano Gottardi.

Prima nota positiva della giornata: non c'erano più i Dalton a sbronzarsi al bancone!

Crazy Lixx: i giovincelli ci danno dentro di brutto e fanno una figura ottima, non fosse che, visto il genere che suonano, come per un sessantenne che si mette con una ventenne, sono in ritardo di almeno venticinque anni perchè la cosa "tiri" seriamente. Quantomeno si porteranno a casa un bel ricordo dell'Italia...in particolare il chitarrista che "offstage" si diletta in un simpatico siparietto (ma siccome sono persona riservata non vi dirò che è stato beccato nel bagno dei disabili a mostrare le qualità del suo "manico" ad una bella fanciulla...)
Issa (Oooo issa! Oooo issa! Ooo...): con il suo hard rock melodico stile Victoria's Secret non convince nessuno e sul palco se la inculano davvero in pochi...quanto accada invece nel backstage non è dato saperlo (nel caso: beati loro!).
Jeff Scott Soto: look e attitudine da ventenne nonostante oramai le primavere sulle spalle siano quasi cinquanta, arriva come un uragano e devasta tutto capitalizzando l'attenzione della totalità dei presenti. Quando il tempo a sua disposizione termina, non si scompone e con un pacato "vaffanculo!" (in italiano) prosegue lo stesso per un altro pezzo. 
John Waite: Classe. Forse non la voce più bella, tecnica o con la maggior estensione del festival, però... che signore. Non conoscevo granchè la scaletta, comunque un bel concerto. Pare ci fosse Alda D'Eusanio pronta a lanciarsi dalla balconata in preda a una crisi da fan 15enne... 
Danger Danger: esibizione pazzesca, cazzo duro e braccia alzate! Rob Marcello è un mostro (non di bruttezza), la band suona bene e Ted Poley IL frontman. Simpatico, canta bene, e scende fra la folla a cantare scatenando un putiferio. Tutti volevano toccarlo, manco fosse Belen in bikini. Mi sono divertito come un coglione lasciato fuori dalle mutande, per me davvero uno dei momenti più alti del festival. 
Piccolo siparietto: Bruno Ravel (bassista dei Danger Danger): 

What song is it you wanna hear?

PUBBLICO: .........................................................................................................

BRUNO RAVEL: What song is it you wanna hear?

PUBBLICO: WOUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUAHOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOARGHHHHHHHHHHHHHHHHHHHSSSSSSSZZZZZXYZ.

BRUNO RAVEL: It's exactly what we wanted to play!

John Peter Sloan, salvaci tu...

Winger: be', bravi. Scaletta che abbraccia un po' tutto il repertorio, anche se il nuovo corso non l'ho mai seguito, ma hanno suonato molti classici. Il batterista è da portare fuori sulle spalle tanto che è bravo, Reb Beach sempre figo. Kip Winger ha l'aria di uno che non vede l'ora di finire il concerto per andare a puttane, se mi dicessero che passa le sue serate al Night Club a infilare soldi nelle mutande delle spogliarelliste ci crederei senza problemi. Ma a parte quest'aria da playboy in pensione (sarà il ciuffo bianco, boh), niente da dire.
Night Ranger: Fra Mar-Ti-No Cam-Pa-Na-Ro...parte "Touch Of Madness" e non ce n'è per nessuno! Tra classici, brani nuovi e qualche sorpresa come "The Secret Of My Success" (co-co-co-cosaaaaaa?) ed "High Enough" equivalgono ad un orgasmo di 80 minuti, facendo "godere" sia gente che potrebbe essere mio padre che altri che potrebbero essere miei figli. Qualità eccelsa intergenerazionale.


lunedì 5 maggio 2014

Frontiers Rock Festival - Il report, parte II


Secondo giorno: parole incontestabili a cura di Stefano Gottardi e Jen.

Adrenaline Rush: l'hard rock tendente allo sleaze scandinavo in un festival come questo serviva quanto lo shampoo a Claudio Bisio, ma la cantante ha rubato la scena a tutti. Inascoltabile e con una voce da gallina, la mandrappona svedese aveva quella quintalata di "puttanismo" da palcoscenico che ti aspetti di vedere da una frontwoman del genere. A fine concerto si è concessa ai suoi nuovi fan per mille foto, sfoggiando le pose più finte della storia e senza sboccare in faccia nemmeno al centocinquantesimo orrendo e sfigato fan che le si è presentato dinnanzi. Come mi faceva giustamente notare Mirco Nanetti (che non riesco a taggare porcoilmondochechossottoaipiedi!), avrà pensato: “ma quanto cazzo sono brutti questi italiani?”.
Moonland: tutti si aspettavano un'altra sgnoccona imputtanita, e invece no, la fanciulla era castamente abbigliata, che manco la supplente alle scuole elementari poteva battere. M'è parsa un pelo impacciata sul palco per essere una pop star con milioni di dischi alle spalle, ma forse è abituata a un pubblico più kitsch e ben vestito. Comunque bravi, hanno suonato in maniera onesta. 
L.R.S. una gran bella sorpresa... a cavallo tra Journey e Bad English forieri di brani di gran classe. Spunta lo zampino del bravo Alessandro Del Vecchio, ma rivedere Ramos all'opera dopo l'esibizione con gli Hardline non mi è dispiaciuto affatto, anzi! Hanno suonato pezzi dal cd e un brano a testa delle rispettive band dei tre personaggi che danno il nome al progetto. LaVerdi è una macchina, anche molto bravo a tenere il palco, Shotton un grande dietro le pelli e alla voce. Un'esibizione impeccabile, una delle poche band che non conoscevo che mi ha fatto venire voglia di prendere il cd.  
Eclipse: Erik Martennson è l'idolo delle folle, c'è poco da fare: il musicista svedese che tutte le mamme vorrebbero che la loro figlia sposasse. Esce ed è un tripudio, la band piace, la gente sa i pezzi e canta. Loro suonano bene e il secondo gettone di presenza lo firmano alla grande. 
Red Dragon Cartel: porcaccia la vaccaccia! Ho visto da pochi passi il mio idolo, Jake E. Lee, devo aggiungere altro? Sì. Scaletta incentrata su brani dei Badlands, un paio di Ozzy e qualcosa dal nuovo cd, che personalmente ho apprezzato molto. Il cantante, che credevo preso a botte dalla folla al Whisky a Go-Go e ancora in convalescenza, era invece in splendida forma. Non il migliore del Festival, ma la sua prestazione è stata dignitosa. Jake piacevolmente sorpreso dall'affetto della folla, e anche se non capisco una mazza di chitarra per me numero uno! Per me a dire il vero poteva anche mettersi nudo a fare il “grillone musicale” con il pisello, che sarebbe stato fico lo stesso!
Pretty Maids: scaletta non male, ma Ronnie Atkins è venuto in Italia dimenticandosi di portarsi dietro la voce. Meglio riascoltarsi "Screamin' Live". Ken Hammer s'è mangiato un cinghiale intero prima del concerto! (ma sticazzi, hanno fatto "Future World" e "Yellow Rain", io ero letteralmente in lacrime ndR).
Stryper: devastanti oltre ogni limite umano consentito, hanno dimostrato di essere delle implacabili macchine da guerra, in grado di impaurire il temibile Lucifero. Il chitarrista Oz Fox è un dio (che il Signore non si inalberi, abbiamo messo la d minuscola, ndR). La gente era in visibilio, tutto il locale era lì per loro, anche se non hanno lanciato le bibbie come ci si aspettava. Divini, a dir poco.

domenica 4 maggio 2014

Frontiers Rock Festival - Il report, parte I


Introduzione a cura di Jen.

"Oh mio Dio, ma mi state dicendo che mi sono persa i Danger Danger"? Questo è un post preso a caso scovato nella giungla digitale denominata Facebook. Chiunque ami l'hard rock melodico e non viva sulla luna, doveva essere a conoscenza del Frontiers Rock Festival, il primo festival italiano incentrato sul genere, patrocinato dalla nota label Frontiers Records. E Raised On Melodies poteva mancare? Certo-che-no. Il qui presente Jen, coadiuvato da Stefano Gottardi della Street Symphonies Records, il mio socio e mentore di questo blog Diego "Dr. Zed" Zorloni, con un piccolo e divertente contributo di Alessandro Corno capo redattore del portale Metalitalia.com hanno raccolto con estrema ironia e genuina spontaneità le emozioni vissute in questo mega evento.

Primo Giorno: parole a cura di Stefano Gottardi, e di Jen.

State Of Salazar: bravi, ma inguardabili. Al cantante mancava solo il cappello e poi poteva guidare il pullman.

Dalton: partenza incerta, si sono poi ripigliati nel corso del concerto. Bei pezzi, ma nel complesso la performance non ha convinto del tutto. Si rifaranno a fine serata, da ubriachi.

Three Lions: c'era qualcosa che non andava nella chitarra di Vinny Burns. Cmq bravi, ma penso che un loro cd mi annoierebbe a morte.

Snakecharmer: molto Whitesnake, com'era prevedibile vista la presenza di Micky Moody e Neil Murray. Voce fantastica (parliamo di Chris Ousey degli Heartland, mica cazzi ndR), ma tutto sommato anche un buon momento per andare a rifocillarsi. 

W.E.T.: Non un pezzo brutto, potentissimi. C'era qualcosa di strano nella voce di Soto, non si sentiva, era indietro rispetto agli altri strumenti, se per scelta o per problemi lo scopriremo sabato.

Hardline: Fighissimi, da mozzare il fiato. Gioeli con la voce uguale ai dischi, ricordo pochi mostri del genere live, praticamente perfetto. Josh Ramos: l' eroe delle sei corde; il tastierista Alessandro DelVecchio e gli altri italiani super! Minchia minchia e... minchia!!!

Tesla: SUPERBI (ma cosa ti sei fumato Stefano? ndR Jen)! Il prossimo che mi dice che Faster Pussycat o Pretty Boy Floyd sono fighi gli sputo. Mi fa tristezza pensare che qualcuno infili nello stesso calderone queste band. Mancava solo Tommy Skeoch, probabilmente se l'è mangiato Brian Wheat.


PS: i Dalton hanno dimostrato di essere dei veri "party animals". Questo video li ritrae al ritorno in hotel.