'Sogni in FM'
Partiamo da una precisazione: questo non è l'album più importante registrato dalla band, giacchè la palma dorata spetta al colossale "Escape" del 1981 (disco che, è bene ricordarlo, sta all'A.O.R. come "Nursery Cryme" dei Genesis sta al Prog), ma è comunque un lavoro straordinariamente riuscito, capace di fare impallidire gran parte delle prove discografiche coeve di altri giganti del genere. La genesi del disco va ricercata nel 1983, all'indomani dell'uscita di "Frontiers" e dell'inizio del conseguente tour di supporto. Tra il frontman Steve Perry e i compagni già da tempo le cose non vanno più molto bene, ma nel corso del giro promozionale la crisi raggiunge il punto di non ritorno: la band viaggia seperata dal proprio cantante e i rapporti interpersonali appaiono irreversibilmente incrinati. Terminato il tour, ognuno va per la sua strada e Perry trova il tempo di registrate il proprio debutto solista, quello "Street Talk" del 1984 che gli darà numerose soddisfazioni, tanto artistiche quanto economiche, grazie a due singoli di successo "Oh Sherrie" e "Foolish Heart". Quando viene il momento di ritrovarsi per lavorare al nuovo disco Perry fa la parte del leone e, forte del grande successo personale, impone alla band le sue scelte di campo, creando non poco malcontento tra i ranghi. A farne le spese sono il batterista Steve Smith e il bassista Ross Valory che vengono silurati contro le volontà del manager del gruppo, sostituiti da vari sessionmen. Ridottisi al trio Perry/Cain/Schon - come testimoniato dalla foto impressa sulla busta interna del vinile -, i Journey passano diversi mesi nei Fantasy Studios in California, sforando paurosamente il budget messo a disposione dalla Columbia. Ma il risultato raggiunto vale ogni singolo dollaro investito (si parla, a conti fatti, di oltre un milione di dollari di spese). "Girl Can't Help It" è un delizioso affresco pop rock che decolla sulle tastiere ovattate di Cain, relegando in secondo piano il chitarrismo di Schon. Perry dimostra di essere in stato di grazia, raggiungendo in quest'occasione delle vette espressive mai toccate prima. I toni cambiano con l'esuberante ritmo di "Positive Touch", colorata da un gran gioco di keys e basso, che ci proiettano nel tipico immaginario americano degli anni'80, composto da vestiti sgargianti e pettinature che sfidano la legge di gravità. Notevole l'assolo di chitarra nella parte centrale del brano, spezzato da una vincente melodia vocale che si trascina inaspettatamente in un assolo di sax da brividi (cortesia del guest Dan Hull). La successiva "Suzanne" prosegue sulle stesse coordinate ritmiche, impreziosite questa volta da una performance di Perry che ha dell'incredibile, rivelandosi in grado di spaziare con estrema naturalezza attraverso difformi spettri vocali. "Be Good To Yourself" è il brano più celebre dell'album, l'unico ad oggi ad essere costantemente riproposto dal vivo. L'episodio è legato indissolubilmente al tipico marchio di fabbrica 'Journey', fondendo in maniera sublime al suo interno, un riffing di matrice rock associato ad una forte componente melodica nelle linee vocali. La crepuscolare "Once You Love Somebody" è una meravigliosa semi ballata dal sapore notturno, graziata da un raffinato lavoro di tastiere, tra sottili reminiscenze seventies dell'hammond e le pomposità tipiche dei nuovi (per l'epoca) sintetizzatori. Veniamo investiti da un tripudio di emozioni, con la ballad "Happy To Give", perla di rara bellezza, dalla quale risuonano magiche melodie incastonate in una romantica piece che lambisce il pop, senza tuttavia risultare stucchevole. Un intro di armonica che puzza di bourbon e di profondo sud introduce la title track, che si muove su coordinate decisamente più toste e 'rockeggianti'. Rimarchiamo, il chitarrismo graffiante di Schon, che in quest'occasione prende il sopravvento sui morbidi tappeti tastieristici, rendendo quest'episodio paradossalmente atipico nell'economia generale dell'album. Una nota curiosa: "Raised On Radio" sebbene sia scritta anch'essa dalla magica triade, è l'unica canzone della quale non è riportato il testo sull'originario inner sleeve. "I'll Be Allright Without You" è una raffinata ballata architettata su una struttura squisitamente pop, evidenziando l'enorme gusto ed espressività di Schon, che a differenza di molti suoi illustri colleghi, sa centellinare le proprie prestazioni, non risultando mai invasivo e pretenzioso. In "It Could Have Been You" si respira un'atmosfera vagamente funky, immersa nelle tonalità brillanti ed accese del pop rock di classe, e graziata dall'ennesimo ricamo chitarristico del geniale Schon. A rimarcare lo spiccato mood notturno in cui è immerso il lavoro (d'altra parte basta a dare un'occhiata alla copertina semplice, ma d'effetto) ci pensa "The Eyes Of A Woman", una sognante ballata d'effetto che rasenta la perfezione nella sua eterea semplicità. Le calde sfumature del cielo che si prepara a riaccogliere il sole sono metaforicamente rappresentate dalla conclusiva "Why Can't This Night Go On Forever", un toccante epitaffio per piano e voce, sublimato da un'ineccepibile performance collettiva che ci accompagna alla fine di un bellissimo sogno. Mentre apriamo gli occhi, ci viene voglia di premere nuovamente il tasto play e ricominciare il "viaggio".
Tracklist:
Girl Can't Help It
Positive Touch
Suzanne
Be Good To Yourself
Once You Love Somebody
Happy To Give
Raised On Radio
I'll Be Alright Without You
It Could Have Been You
The Eyes Of A Woman
Why Can't This Night Go On Forever
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