domenica 30 marzo 2014

COVER ALBUM PRIMA E DOPO LA CENSURA, PARTE III


Beh è una semplice foto di gruppo...ma... aspetta un momento! Quel dito lì in mezzo! Quello che sporge dall'impermeabile indossato da Alice Cooper! Non sembra anche a voi un...insomma un...coso? Un pene? No, no, no! Meglio tagliare, anche se nell'operazione, oltre ad un dito, il povero cantante ci deve rimettere tutto il braccio destro.

martedì 25 marzo 2014

COVER ALBUM PRIMA E DOPO LA CENSURA, PARTE II


Quella di "Country Life" dei Roxy Music è probabilmente il caso di censura più radicale mai vista sulla copertina di un disco. Anziché limitarsi a coprire in qualche modo le nudità delle due modelle (nonché la posa ad altissimo contenuto erotico di quella di sinistra), si decise di eliminare il problema alla radice... togliendole proprio di mezzo!

domenica 23 marzo 2014

SAPER VEDERE LA MUSICA, PARTE III


"In Through The Out Door", ultimo album pubblicato dai Led Zeppelin prima della scomparsa di John Bonham, non ha forse dal punto di vista musicale lo stesso spessore di altri lavori realizzati dal quartetto inglese, ciononostante, forse solo grazie al "nome" risultò un grande successo di vendite in un periodo (siamo in pieno post-punk) in cui per molti gli Zep erano solo dei "dinosauri del rock", in attesa dell'estinzione. Quello che forse è più interessante riguardo il disco è però il packaging di cui venne dotato, realizzato dallo studio Hipgnosis, già autore di numerosissime copertine per i Pink Floyd, nonchè di altre tre release degli Zeppelin ("Houses Of The Holy", "The Song Remains The Same" e "Presence"). L'album venne pubblicato con 6 diverse varianti di copertina (identificate da una lettera, da A a F, posta sulla costola del disco), raffiguranti la stessa scena ripresa da diverse angolature. Per rendere la cosa ancora più interessante, ogni copia venne inserita all'interno di una busta di carta da pacco, con indicato nome del gruppo e titolo del disco, cosicchè l'acquirente non potesse sapere fino a quando avesse aperto l'involucro, quale copertina possedesse. Come ciliegina sulla torta, la busta interna del disco presentava una immagine in bianco e nero che, se inumidita... diventava a colori! Senza alcun dubbio una delle copertine più elaborate (e meglio riuscite!) di quegli anni settanta che oramai volgevano al termine...

giovedì 20 marzo 2014

SAPER VEDERE LA MUSICA, PARTE II


Nelle intenzioni "Done With Mirrors" avrebbe dovuto segnare la rinascita degli Aerosmith, dopo un quinquennio non propriamente epocale che li aveva visti (letteralmente!) perdere pezzi a destra e a manca. La reunion della formazione storica ed un nuovo contratto con la Geffen facevano ben sperare e si decise di creare qualcosa di decisamente estroso per quanto riguarda il packaging dell'album: oltre ad aver eliminato il famoso logo alato del gruppo, per enfatizzare in titolo ("Creato con gli specchi") tutto, dalla copertina, ai titoli, ai testi venne stampato ... al contrario, in modo da poter esser letto correttamente solo se posto di fronte ad uno specchio. Il nome del disco si prestava inoltre ad un curioso doppio senso legato all'abuso di cocaina, abitudine cui la band faticava ancora a rinunciare. Colpa o no di questa insolita grafica (criminalmente "raddrizzata" delle recenti ristampe su CD) i fans voltarono in massa le spalle ai bostoniani, decretando il totale fallimento del lavoro, tutt'oggi il meno venduto della loro carriera. Poco male, una collaborazione con le star del rap Run DMC nel giro di un anno avrebbe sistemato le cose, riportando la band sotto i riflettori...e nelle classifiche.

martedì 18 marzo 2014

THE STOOGES: MORTO SCOTT ASHETON!

Sabato scorso ci ha lasciato un'altra piccola grande leggenda del rock: il batterista dei The Stooges (Scott Asheton) ha lasciato questa valle di lacrime a 64 anni. Su Raised On Melodies non abbiamo mai amato le "etichette", soprattutto quelle dotate di prefissi (pre-qualcosa, post-qualcos'altro) ma qui non c'è altro modo di porsi: proto-punk targato 1969.

domenica 16 marzo 2014

SAPER VEDERE LA MUSICA, PARTE I


"A Momentary Lapse Of Reason", primo atto dei Pink Floyd "Mark III" (ossia quelli senza Roger Waters), non passerà certamente alla storia per essere tra i migliori dischi del gruppo, ma presenta certamente numerosi spunti interessanti, a partire dalla bellissima copertina. Dell'artwork si occupa di nuovo Storm Thorgerson, già autore in passato di moltissimi lavori della band inglese e che, ispirandosi ad una frase contenuta nella canzone "Yet Another Movie" ("...Visioni di un letto vuoto"...), fa le cose in grande stile: 800 pesantissimi letti in ghisa vengono trasportati su una spiaggia del Devon da una squadra composta di 30 persone (con l'ausilio di 3 autoarticolati e 2 trattori) e disposti a simboleggiare il corso di un fiume. Sfortuna vuole che quando si è pronti per gli scatti...inizi a piovere! Tutto il materiale viene frettolosamente ricaricato sui tir e la session fotografica viene posticipata di alcuni giorni, in una data fortunatamente soleggiata. Non è l'unico inconveniente avvenuto durante il lavoro per copertine dei Pink Floyd: altri casi riguardano un maiale "viaggiatore" e...un paio di baffi. Ne riparleremo (forse).

mercoledì 12 marzo 2014

LA "PASSIONE" DI ANDERSON: 40 ANNI (E OLTRE...) DI "A PASSION PLAY"

E pensare che nacque tutto da un equivoco... All'indomani della pubblicazione del masterpiece "Aqualung" (1971), furono in molti a considerare il disco come una sorta di concept-album, trovando un filo conduttore che legasse tra di loro tutti i brani. Ian Anderson, che da parte sua non aveva previsto in nessun modo una simile interpretazione, colse la palla al balzo e, per irridere i critici, con il successivo "Thick As A Brick" non si limitò a registrare solo un disco che fosse un vero concept, ma lo portò agli estremi: un unico lunghissimo brano (43 minuti!!), suddiviso all'epoca in due parti – una per facciata- per sole esigenze "pratiche", che metteva in musica un poema scritto da un fantomatico ragazzo prodigio, tale Gerald Bostock. Premiato da pubblico e classifiche, Anderson provò a ripetere l'esperimento nel '73 con il pretenzioso "A Passion Play" ma, come si suol dire, uno scherzo è bello finchè dura poco e stavolta il gioco non funzionò del tutto: ennesimo successo di pubblico (n° 1 negli Stati Uniti), venne invece stroncato dalla critica. Particolarmente aspra fu la recensione di Chris Welch apparsa sulla rivista Melody Maker ( "...Music must touch the soul. "A Passion Play" rattles with emptiness...") e i Tull reagirono annunciando il proprio scioglimento, salvo rettificare poco dopo. Evidentemente agli (allora) ragazzi, nonostante tutto, non era venuta meno la voglia di scherzare. Ma, preamboli a parte, com'è il disco? Strutturato, sulla falsariga del predecessore, come un solo lungo brano, ha la particolarità di essere intervallato da un breve intermezzo parlato ("The Story Of The Hare Who Lost Its Spectacles") dal tipico humour inglese, in pieno stile Monty Python. Per il resto , il lavoro amplifica tutti i difetti che potevano trovarsi "in fieri" già in "Thick As A Brick", portandoli all'eccesso: un susseguirsi di movimenti musicali che, per quanto pregevoli dal punto di vista strumentale, rendono l'ascolto dell'opera dall'inizio alla fine un vero "tour de force" fatto di passaggi slegati tra di loro e senza un apparente filo logico. La lettura dei testi, criptici a dir poco, non è di aiuto e lascia l'ascoltatore nella più totale confusione. Fatti i conti, se è vero che non tutte le ciambelle riescono col buco, qui non c'è nemmeno la ciambella, ma solo il buco (nell'acqua).

domenica 9 marzo 2014

CINQUE RAGAZZI CHIAMATI...ALICE!


Sebbene si tenda ad identificare con Alice Cooper solo quello strambo e surreale personaggio che amava girare su un palco con un boa al collo mentre cantava di quanto amasse i cadaveri prima che diventassero freddi, in realtà dal 1969 sino al 1974 Alice Cooper è stato il moniker dietro cui si celavano ben cinque brutti ceffi, membri della band più irriverente, sporca e cattiva che gli Stati Uniti avessero visto da molti anni a quella parte. Vince Furnier, Glen Buxton, Dennis Dunaway, Michael Bruce e Neal Smith nel 1969 debuttano per l'etichetta Straight di Frank Zappa con l'album "Pretties For You" ma né l'esordio, né il successivo "Easy Action" smuovono più di tanto le acque e sembra solo questione di tempo prima che il gruppo venga silurato. Invece accade il miracolo: il terzo album "Love It To Death" del 1971 diviene un successo grazie al singolo "I'm Eighteen" e lancia l'Alice Cooper Band nello stardom, posizione che viene cementata dal successivo e cattivissimo "Killer", uscito lo stesso anno. Se in studio i cinque fanno faville, dal vivo imbastiscono uno show che riesce a portare il cattivo gusto allo status di arte con trovate sceniche rimaste negli annali del rock: serpenti, una sedia elettrica, camicie di forza e chi più ne ha più ne metta. I genitori si coprono gli occhi disgustati, i ragazzini vanno in visibilio ed i contabili della casa discografica si sfregano le mani. Manca solo l'hit single definitivo e non tarda ad arrivare con la title track del disco "School's Out" del 1972 che li consacra definitivamente una delle più grandi (ed odiate) bands degli States. Il successo però, si sa, ha un prezzo e a pagarlo quasi per intero è il frontman del gruppo, Vince Furnier che viene oramai identificato con Alice Cooper e non riesce più a distinguere tra l'uomo ed il personaggio che interpreta sul palco, affondando in un incubo liquido fatto di alcol. Anni dopo egli ricorderà (per quanto gli sia possibile) così i suoi anni '70: "Appena sveglio la mattina la prima cosa che facevo era allungare il braccio per prendere una birra fredda dal minifrigo che avevo a portata di mano accanto al letto. Poi c'era altra birra sull'aereo. Birra durante il giorno. Il mondo era ai miei piedi. Non mi iniettavo eroina e non sniffavo coca, niente di tutto ciò. Era solo birra. Solo che nessuno si era accorto che ne bevevo più di due pacchi da sei al giorno." I problemi con la bottiglia non impediscono al gruppo di raggiungere ulteriori vette con "Billion Dollar Babies" del 1973, disco che conquista la vetta delle classifiche sia negli U.S.A. che in U.K. e che viene seguito dall'ennesimo tour splendidamente decadente. All'interno dei ranghi però la situazione scricchiola: i compagni di Vince si sentono schiacciati dall'ingombrante presenza del cantante e vorrebbero rinunciare a trucchi grand-guignol e costumi di scena per tornare ad un rock più "misurato" che dimostri anche alla critica le loro capacità come musicisti. Niente da fare: la gallina dalle uova d'oro deve continuare a deporre e così i cinque sono costretti a proseguire lungo la strada intrapresa. La stanchezza e l'insoddisfazione portano però a quel "Muscle Of Love" che risulta meno frizzante rispetto alle precedenti release e scontenta un pò tutti, in primis il pubblico che non corre ad acquistarlo come ci si sarebbe aspettati. A questo punto la rottura tra il cantante ed i quattro musicisti è inevitabile: Vince si fa unico portatore del nome Alice Cooper e con il concept album "Welcome To My Nightmare" getta il seme di una carriera solista che dura tutt'ora, mentre gli altri si eclissano per un pò (Bruce, Dunaway e Smith cercheranno anche fortuna dietro al moniker "Billion Dollar Babies" per un solo disco ed un tour morto sul nascere). Tutto bene per Vince / Alice quindi? Non proprio: tempi durissimi sono dietro l'angolo ed il cantante quanto prima toccherà il fondo...della bottiglia.

mercoledì 5 marzo 2014

AVANTI UN ALTRO, PARTE II

All'indomani del grande successo di "1984", David Lee Roth decide che oramai può cavarsela benissimo anche da solo. Pertanto abbandona i Van Halen per intraprendere una carriera solista che, invero, dopo uno scoppiettante inizio, sarà avara di soddisfazioni. I tre superstiti non si fanno però scoraggiare e danno il benvenuto al "red rocker" Sammy Hagar (ex Montrose e già con un'avviata carriera in proprio). L'esordio della nuova formazione, battezzata da qualche critico "Van Hagar", è a dir poco stellare: "5150" è un trionfo sia dal punto di vista qualitativo, che dal punto di vista commerciale, conquistando la prima posizione negli U.S.A e vendendo sei milioni di copie. "Dreams", "Love Walks In", "Why Can't This Be Love" sono solo alcuni dei brani di un vero pezzo da novanta dell'hard rock statunitense di quel magico periodo. Non da meno faranno le successive releases della formazione, "OU812" (il cuo titolo suona come "Oh, You Ate One Too", in risposta all'album "Eat'em And Smile" dell'ex frontman), "For Unlawful Carnal Knowledge" (altro nome interessante se ne leggete solo le iniziali) e "Balance". La crisi è però dietro l'angolo: i rapporti tra Hagar e Eddie Van Halen oramai si sono incrinati e si rompono del tutto durante la lavorazione di alcuni brani inediti da inserire in un "Best Of" in lavorazione. Hagar se ne va (o viene cacciato, a seconda di quale delle due parti vogliate ascoltare) e la sua dipartita facilita l'agognata reunion con David Lee Roth, durata un batter di ciglio. Dopo un fallito esperimento con Gary Cherone degli Extreme al microfono per il disco "3", i Van Halen si riuniscono con Sammy Hagar. Questo ritorno di fiamma si esaurisce soltanto con alcuni brani inediti per una raccolta ed un conseguente tour che sancisce nuovaamente la dipartita di Hagar, seguito a ruota dal bassista Michael Anthony. Il prevedibile ritorno all'ovile di Roth frutta un piacevole album di "inediti" intitolato "A Different Kind Of Truth", seguito da un trionfale tour negli Stati Uniti. Tuttavia il decennio trascorso con Sammy Hagar è ben lungi dal poter essere definito un mero interregno...

domenica 2 marzo 2014

THAT'S ALL FOLK(S): LA TRILOGIA "BUCOLICA" DEI JETHRO TULL

Dopo la sbornia progressiva di "Thick As A Brick" e "A Passion Play", la metà dei 70s vede i Tull indecisi sulla strada da percorrere: tra la soundtrack per un film mai realizzato ("War Child"), atmosfere elisabettiane ("Minstrel In The Gallery") e ritorni ad uno stile più scarno ("Too Old To Rock' n' Roll, Too Young To Die") il percorso della band è al limite della schizofrenia. Nel 1977 il trasferimento in una tenuta di campagna di Ian Anderson crea i presupposti tematici per quella che verrà denominata la "Trilogia Folk" dei Jethro Tull. "Songs From The Wood", primo capitolo di questo nuovo corso, è un lavoro eccellente, senza dubbio il migliore realizzato dai Tull nell'ultimo quinquennio, dotato di un songwriting ispiratissimo, capace di mescolare melodie facilmente assimilabili a parti strumentali tutt'altro che banali. Il successivo "Heavy Horses" segue le stesse direttive, risultando forse meno "facile" a causa di una maggiore complessità nella struttura dei brani che rimanda ai trascorsi "progressivi" della formazione (si prenda come esempio l'iniziale "And The Mouse Police Never Sleeps"). Dopo l'intermezzo live del doppio "Bursting Out", uscito a celebrazione del decennale discografico dei Tull, il capitolo conclusivo arriva con "Stormwatch", disco molto più cupo dei predecessori tanto nelle tematiche che nei suoni, ma che ha il pregio di consegnare quel gioiellino acustico di "Dun Ringill". Sicuramente non poco deve aver contribuito al tono funereo dell'album la precaria condizione fisica del bassista John Glascock, affetto da una patologia cardiaca congenita che ne causerà la morte poco dopo la pubblicazione del lavoro. Scosso dall'accaduto ed interessato a nuove sonorità in completa controtendenza rispetto a quanto sinora realizzato, Ian Anderson decide di prendersi una pausa dal gruppo per lavorare ad un progetto solista. Le cose andranno in maniera diversa dal previsto e per la band il nuovo decennio si rivelerà un periodo di profonde incertezze che la vedrà ripartire da zero, anzi da "A", come il titolo del lavoro che introdurrà la nuova incarnazione dei Tull negli anni '80.